**Diario personale**
Fin da piccola, Raffaella sentiva dire che le donne della sua famiglia erano segnate dalla sfortuna. La sua bisnonna aveva perso il marito in guerra, la nonna si era rovinata la salute in fabbrica, e suo nonno aveva abbandonato la famiglia quando sua madre aveva solo tre anni. Spesso si chiedeva se anche il suo matrimonio sarebbe finito in tragedia. Non lo voleva, ma l’ombra di quella maledizione la perseguitava.
Conobbe il futuro marito, Massimo, in una piccola officina alla periferia di Napoli, dove entrambi lavoravano. Lui riparava macchinari, lei smistava pezzi. Si avvicinarono nella mensa comune, chiacchierando durante la pausa pranzo. Decisero di sposarsi in fretta. Celebrarono un matrimonio semplice e si trasferirono nel suo modesto bilocale in via Garibaldi. La nonna era già scomparsa, e quella casa divenne la loro.
La vita scorreva tranquilla. Prima nacque Matteo, poi il più piccolo, Luca. Poco dopo, la madre di Raffaella si spense. Ora doveva badare ai figli e alla casa da sola. Non si lamentava: Massimo portava a casa i soldi, e lei si occupava del resto.
Ma dopo qualche anno, qualcosa cambiò. Massimo iniziò a tornare tardi dal lavoro, menzionando spesso una giovane collega che «lo aiutava con i rapporti». Raffaella notava il suo distacco: tornava solo per cambiarsi, a volte neanche per dormire. Capiva tutto, ma la paura di restare sola con i figli la bloccava.
«Lasciala, pensa ai bambini», osò dirgli un giorno.
Massimo non rispose. Niente scuse, niente urla, solo silenzio di ghiaccio.
Lei continuò a prendersi cura di lui: cucinava, gli stirava le camicie.
«Sai solo fare la serva», le sbottò con disprezzo dopo un altro tentativo di dialogo.
Sperò che cambiasse idea, ma una sera, Massimo fece le valigie.
«Non lasciarci, ti prego! Non privare i bambini di un padre!», singhiozzò Raffaella.
«Sei solo una miserabile serva», tagliò corto lui, guardandola con disgusto.
Quelle parole le sentirono i figli. Matteo e Luca, stretti sul divano, videro il padre andarsene. Si chiedevano il perché. Forse non erano stati abbastanza bravi? O forse la mamma aveva sbagliato qualcosa?
Videro tutto: le lacrime della madre, i suoi sforzi per rimanere forte, la sua dedizione. Cercarono di aiutare: lavavano i piatti, riordinavano. Raffaella si dedicò completamente a loro e al lavoro. Non pensava a nuovi amori: i figli erano il suo mondo.
Ma il destino aveva altri piani. Un giorno, al supermercato locale, Raffaella fece cadere un sacchetto di pasta. Un uomo gentile lo raccolse.
«Vuole che la aiuti con la spesa?», chiese sorridendo.
Lei si confuse, ma lui, senza aspettare risposta, prese le borse.
«Facciamo così: decido io», disse, e iniziarono a chiacchierare tornando a casa.
Si chiamava Alessandro. Aveva un sorriso dolce, una voce calma e una leggera zoppia. Raffaella lo ringraziò e salutò, senza aspettarsi di rivederlo. Ma lui ricomparve nello stesso negozio, quasi cercandola. Così nacque la loro amicizia.
Raffaella faceva le pulizie nel suo palazzo per arrotondare. Di solito i figli la aiutavano, ma quel giorno volle farcela da sola.
«Posso dare una mano?», risuonò una voce familiare.
Era Alessandro. L’aiutò a finire, e quella sera lei lo invitò a cena. Lui arrivò in giacca e cravatta, con un mazzo di margherite e una scatola di pasticcini.
«Buonasera», disse, porgendo i dolci ai bambini.
Matteo, il maggiore, annusò i pasticcini, e tutti scoppiarono a ridere. La tensione svanì. A cena, Raffaella lasciò cadere un cucchiaio, e Alessandro lo afferrò al volo.
«Gioca a basket?», chiese Luca.
«Da ragazzo, ma è passato tanto tempo», rispose sorridendo.
«Ti mostriamo il nostro campo!», propose Matteo. «Giochiamo con gli amici».
Il giorno dopo si rividero. Alessandro si aprì:
«Avrai notato che cammino piano e parlo con calma. Ho avuto un incidente. Mia moglie non ha voluto restare con me. Ora forse non vorrai più vedermi».
Raffaella tacque, per non imbarazzarlo.
«Se i miei ragazzi non ti pesano, vieni quando vuoi», disse infine con un sorriso.
Alessandro divenne parte della loro vita. Era premuroso, giocava con i bambini, aiutava in casa. All’inizio era strano, ma presto si affezionarono a lui. Era il padre che Massimo non era mai stato. Giocavano a pallacanestro, invitavano gli amici, e la casa si riempì di risate.
Passarono gli anni. Matteo trovò una ragazza, Luca si appassionò alla musica. Una volta, Matteo chiese consiglio ad Alessandro: si fidava di lui. Ma una sera, bussarono alla porta. Raffaella aprì e rimase immobile. Sulla soglia c’era Massimo.
«Ho sbagliato», disse. «Voglio rimediare».
«Vattene!», urlò Matteo, serrando i pugni.
«Come osi parlarmi così, moccioso?!», si infiammò Massimo.
«Non alzi la voce a mio figlio!», tuonò Alessandro, facendosi avanti.
Era pronto a difendere la sua famiglia.
«Non ti vogliamo qui!», gridò Luca, spingendolo fuori.
Chiuse la porta di colpo.
«ProvRaffaella guardò i suoi uomini—Matteo, Luca e Alessandro—e finalmente trovò la pace che il destino le aveva a lungo negato.