Era una fredda sera d’inverno quando l’autista dell’autobus allontanò un’anziana di ottant’anni che non aveva pagato il biglietto. Lei rispose con poche parole, ma bastarono a segnare il suo cuore per sempre.
Il gelo serpeggiava tra le fessure del vecchio autobus che avanzava lento per le strade bagnate di Milano. Fuori, la neve cadeva silenziosa, ammantando tetti e alberi di un bianco immacolato. Dentro, l’aria era impregnata di quel misto di gasolio e stanchezza tipico dei mezzi pubblici. L’autista, Franco Rossi, conduceva quella stessa linea da anni, vedendo scorrere le stesse facce, sentendo come ogni giorno fosse identico al precedente.
Quella sera, a bordo c’erano pochi passeggeri. Una ragazza con le cuffie appoggiata al finestrino, un uomo in un abito logoro che leggeva il giornale, una signora con le buste della spesa e, vicino alla porta posteriore, una nonnina dai capelli bianchi, curva, avvolta in un cappotto che aveva visto giorni migliori. Stringeva tra le mani una borsa di tela, come quelle che usano solo gli anziani.
Franco l’aveva vista salire alla fermata del mercato, con passo lento e lo sguardo basso. Non aveva il biglietto. Lo capì subito, perché conosceva bene chi pagava e chi fingeva di non capire. Ma quella volta, qualcosa nel modo in cui la vecchietta si aggrappava alla ringhiera, come se l’autobus fosse l’unica cosa a tenerla in piedi, lo irritò più del solito.
—Signora, non ha il biglietto. Deve scendere —disse, cercando di essere fermo, ma la voce gli uscì più dura del previsto.
La nonna non rispose. Solo strinse più forte la borsa e fissò il pavimento come se non avesse sentito o volesse ignorarlo. Franco sentì un’ondata d’impazienza. Ne aveva abbastanza di chi pensava di poter viaggiare gratis, come se lui avesse il dovere di trasportare tutti.
—Le ho detto di scendere! —insisté, più forte—. Qui non è un ospizio!
L’autobus cadde nel silenzio. La ragazza smise di guardare fuori dal finestrino. L’uomo abbassò il giornale e aggrottò la fronte. Nessuno parlò, nessuno mosse un dito. Tutti fecero finta di non vedere.
La nonnina, lentamente, si avviò verso l’uscita. Ogni passo sembrava pesarle il doppio. Sull’ultimo gradino, si fermò e guardò Franco. I suoi occhi, stanchi ma fieri, lo trafissero.
—Una volta ho dato alla luce uomini come te. Con amore. E ora non mi lasciate neanche sedere —sussurrò, a malapena udibile, ma con una dignità che riempì tutto l’autobus.
Poi scese, e la neve la avvolse subito. Camminò piano, svanendo nella foschia del tramonto.
L’autobus rimase fermo qualche istante. Franco sentì tutti gli occhi su di lui, anche se nessuno parlò. L’uomo con il giornale fu il primo ad alzarsi e scendere in silenzio. La ragazza lo seguì, asciugandosi le lacrime. Uno dopo l’altro, i pochi passeggeri rimasti abbandonarono il mezzo, lasciando i biglietti sui sedili, come se ormai non contassero più.
In pochi minuti, l’autobus fu vuoto. Solo Franco, seduto al volante, con quelle parole che gli rimbombavano nella mente. “Ho dato alla luce uomini come te. Con amore.” Non riuscì a muoversi per un bel po’. Fuori, la neve continuava a cadere.
Quella notte, Franco non chiuse occhio. Si rigirava nel letto, ricordando lo sguardo della nonna, la sua voce stanca, la vergogna che lo consumava. Perché gli aveva parlato così? Perché l’aveva fatta scendere? Che gli costava lasciarla sedere, accompagnarla alla sua destinazione? Pensò a sua madre, alle zie, alle donne anziane che lo avevano cresciuto. Era così che trattava ora le nonne degli altri?
Passarono i giorni, ma il rimorso non lo abbandonò. Ogni volta che vedeva un anziano alla fermata, sentiva un dolore al petto. Iniziò a fare più attenzione, a fermarsi un attimo prima, ad aiutarli a salire. A volte, di nascosto, pagava il biglietto a chi sembrava non poterselo permettere. Ma non rivide più la nonnina dal cappotto logoro.
Una settimana dopo, finito il turno, Franco scorse una figura familiare alla fermata vicino al mercato vecchio: piccola, curva, la stessa borsa di tela. Il cuore gli balzò. Fermò l’autobus e scese di corsa.
—Nonna… —disse, con la voce tremante—. Mi perdoni. Quel giorno… ho sbagliato. Non avevo diritto.
La vecchietta lo guardò, e per un attimo Franco temé che lo respingesse. Ma lei sorrise, un sorriso dolce, senza rancore.
—La vita, figliolo, insegna qualcosa a tutti. L’importante è ascoltare. E tu… hai ascoltato.
Franco sentì le gambe cedere. La aiutò a salire e la fece sedere davanti. Durante il viaggio, le offrì un po’ di tè caldo dalla sua borraccia, e viaggiarono in silenzio. Un silenzio diverso, caldo. Come se l’autobus, per la prima volta da anni, fosse un luogo sicuro per entrambi.
Da quel giorno, Franco tenne sempre qualche moneta e biglietti extra in tasca. Nel caso una nonna, un nonno, un bambino senza soldi avesse bisogno di salire. A volte, bastava un sorriso o una parola gentile. Con il tempo, i passeggeri notarono il cambiamento. L’atmosfera sull’autobus divenne più leggera, più umana.
La primavera arrivò all’improvviso. La neve si sciolse e alle fermate comparvero mazzetti di viole, venduti dalle anziane avvolti nella carta. Franco imparò a riconoscerle, a salutarle per nome, ad aiutarle a salire e scendere. Divenne parte della loro vita, non solo un autista, ma un amico, un nipote adottivo.
Ma non rivide mai più la nonnina dal cappotto logoro. La cercò alle fermate, chiese di lei. Qualcuno gli disse che viveva vicino al cimitero, oltre il ponte. Una domenica, nel suo giorno libero, andò a cercarla. Camminò tra le tombe, leggendo i nomi, chiedendo ai custodi. Alla fine, la trovò: una croce di legno semplice, con una foto incorniciata. Gli stessi occhi, lo stesso sorriso.
Franco restò lì a lungo, in silenzio. Sentì che qualcosa dentro di lui si sistemava, come se finalmente potesse perdonarsi. Lasciò un mazzetto di viole sulla tomba e se ne andò.
La mattina dopo, salendo sull’autobus, mise sul sedile anteriore un piccolo bouquet e un cartello scritto a mano: “Per chi è stato dimenticato. Ma che non dimentica noi”.
I passeggeri lessero il cartello in silenzio. Alcuni sorrisero, altri lasciarono una moneta accanto ai fiori. Franco guidava più piano, con più attenzione. Si fermava prima per far salire le nonne, le salutava, chiedeva come stavano. A volte, si limitava ad ascoltarle raccontare le loro storie.
Col tempo, la storia di Franco e della nonna si sparse. Altri autisti iniziarono a fare lo stesso. L’aria sugli autobus cambiò. I passeggeri si salutavano, si aiutavano con le borse, cedevano il posto senza che nessuno lo chiedesse. L’autobusE così, tra i vicoli di Milano e il rumore degli autobus, la lezione di quella nonna continuò a vivere, un ricordo dolce che riscaldava il cuore di chiunque la raccontasse.