Il proprietario di un ristorante assunse come donna delle pulizie una senzatetto con suo figlio. Attivando le telecamere di sorveglianza, vide che danzava
Il sole, come un enorme disco infuocato, si immergeva lentamente dietro i tetti dei palazzi, tingendo il cielo di sfumature cremisi, dorate e miele. Laria era pervasa dal profumo dellautunnoun misto di foglie umide, fumo dai comignoli solitari e il lontano aroma di caffè dai chioschi di strada. La gente si affrettava verso casa, rideva, si abbracciava, viveva. E Luca stava lì, solo come un monumento ai tempi dimenticati, fissando il terreno abbandonato, quasi fosse la tomba della sua giovinezza.
Le sue mani, nascoste nelle tasche di un cappotto di lana e seta di un brand italiano, erano gelide, nonostante i guanti di lana spessi. Non sentiva il calore, non sentiva lo scorrere del tempo, non sentiva la città intorno a lui. Tutto ciò che gli restava era un dolore lancinante al petto e lampi del passato, come fotogrammi di una pellicola antica.
Davanti a lui, oltre una rete metallica arrugginita, cera il luogo dove un tempo risuonava la musica, dove le coppie danzavano al ritmo dei battiti, dove nascevano i primi sentimenti, dove aveva baciato una ragazza sotto le stelle. La pista da ballo. La sua pista da ballo. Un tempo odorava di giovinezza, libertà, speranza. Orasolo erbacce, ruggine e silenzio, spezzato dal raro fruscio del vento.
Quel posto era per lui insieme un santuario e una maledizione. Lì era stato felice. Lì aveva sognato. Lì aveva creduto di poter conquistare il mondo. E ora, dietro quella recinzione, sentiva che la sua anima era invasa come quel terrenoda erbacce, delusioni, solitudine.
I suoi pensieri tornarono a quanto accaduto appena unora prima. Chiara. La sua stella. Il suo incubo. Il suo errore.
Lufficio era in stile loftmattoni a vista, luce calda, un divano di pelle, un bar con whisky rari. Ma latmosfera era gelida. Chiara era immobile al centro della stanza, come una statua di marmo e veleno. Il suo corpoperfetto, scolpito da anni di allenamento, lo sguardofreddo come lacciaio. Lo guardava come se fosse nulla. Spazzatura da buttare.
“Non puoi parlarmi così,” sibilò, la voce tagliente come una lama. “Io sono il volto del tuo locale. Senza di me, sei nessuno.”
Luca si voltò verso la finestra, dandole le spalle. Non voleva vedere quella maschera di superiorità. Sapeva la verità: sì, ballava bene. Benissimo. Ma il talento senza anima è solo spettacolo. E lei ormai danzava non per gli altri, ma per se stessa. Per la fama. Per gli ammiratori che considerava sua proprietà.
“Non cè mai stato nulla tra noi, Chiara,” disse con voce ferma, come la superficie di un lago prima della tempesta. “E mai ci sarà. Ti ringrazio. Per gli anni, per i clienti, per essere stata davvero la migliore. Ma hai smesso di imparare. Hai preteso, senza offrire. Credi che il mondo ruoti intorno a te. È finita.”
Pose sul tavolo una busta. Spessa. Pesante. Dentro, una somma pari a un anno di stipendio. Di più. Non era vendetta. Era un gesto di rispetto per il suo talento, non per il suo carattere.
Chiara non la degnò neppure di uno sguardo.
“Ritira quello che hai detto,” sibilò. “Me ne vado. E il tuo impero crollerà. La gente veniva per me. Tra un mese siederai in una sala vuota, come un vecchio pazzo che non ha capito chi lo ha reso grande.”
Luca si voltò finalmente. Negli occhi non cera rabbia né rimpianto. Solo stanchezza. E certezza assoluta.
“Sei licenziata,” disse. “Due settimaneper legge. Lamministratore ti pagherà. Buona fortuna.”
Uscì senza voltarsi. Lauto lo aspettava. Si sedette, accese musica classicabassae partì. Senza meta. Senza piano. Solo la strada. E i pensieri, come schegge di granata, che gli laceravano la mente.
Unora dopo, era lì. Davanti a quella recinzione. Davanti alla sua giovinezza. Davanti al suo dolore.
La mattina dopo, il mal di testa pulsava come una tempesta. Luca si svegliò con la sensazione di aver perso qualcosa di importante. Non il lavoro. Non una donna. Ma se stesso. E, come risposta a un richiamo interiore, capìdoveva tornare lì. Su quel terreno. Dove un tempo aveva riso, danzato, amato.
Nel bagagliaio trovò una sprangaarrugginita ma resistente. Arrivò al terreno abbandonato. Scostò la rete, si infilò nello spaziocome se entrasse nel passato.
Il luogo lo accolse con silenzio. Il vento agitava foglie secche, come pagine di un libro dimenticato. Il vecchio palco di legno era inclinato, come un anziano stanco. Le porte inchiodate, le finestrevuoti neri. Una, rotta.
Si affacciò dentro. Penombra. Polvere. Ragnatele. Sedie rotte, chiodi arrugginiti, resti di manifesti consumati dal tempo.
Eppure entrò. Non perché lo volesse, ma perché sentivalà dentro, qualcosa lo aspettava. Forse una risposta. Forse il perdono.
Fece tre passi. Il pavimento, marcio, scricchiolòe cedette.
La caduta durò un secondo. Ma in quel secondo ebbe tempo di pensare: “Ecco tutto. La fine. Per cosa? Per lorgoglio? Per la solitudine? Per aver dimenticato chi ero?”
Atterrò su un cumulo di ghiaia e legno. Il dolore gli attraversò il fianco, le mani sbucciate, ma era vivo. Vivo. E già questo era un miracolo.
Era nel seminterrato. Tre metri di profondità. Pareti di cementolisce come vetro. Nessun appiglio. Nessuna scala. Nessuna speranza.
Il telefonoin macchina. Era in trappola.
“Ehi!” gridò. “Cè qualcuno? Aiuto!”
La voce rimbalzò sulle pareti, eco nel vuoto. Nessuno rispose.
Provò ad arrampicarsi. Si aggrappò a crepe, a pezzi di ferro. Scivolò. Il sangue colava dalle dita. La disperazione gli stringeva il cuore.
Dopo unora, si sedette su un mattone. Chiuse gli occhi. Pensò a quanto fosse insensata quella fine. Il proprietario di una catena di locali, un uomo che aveva costruito un impero dal nulla, moriva in una buca su una pista da ballo abbandonata.
E improvvisamenteuna voce.
“Mamma, guarda! Cè un signore nella buca!”
Luca alzò lo sguardo. In alto, nel rettangolo di luce che filtrava dal buco, cerano due figure. Una donna. Un bambino. Piccolo, con occhi grandi come un gufo. La donnamagra, pallida, ma con gentilezza negli occhi. E preoccupazione.
“Sta bene?” chiese.
“Stavo solo riposando,” sorrise, cercando di nascondere il dolore. “Ma se puòmi aiuti a uscire.”
Sparirono. Per un attimo, la speranza morì di nuovo. Ma dieci minuti dopo tornarono. Trascinavano una vecchia scala antincendio arrugginita. Con fatica, la infilarono nel buco