«Le cicatrici del cuore: la storia di una madre che ha scelto di andare via»

**”Le polpette si raffreddano, ma il cuore no”: come una volta una mamma se ne andò col suo bambino e perché non tornò più**

In cucina si spandeva l’aroma invitante delle polpette che friggevano. Giulia le girava con maestria sulla padella, cercando quella perfetta croccantezza dorata. Nella stanza accanto, il piccolo Matteo russava dolcemente nella sua culla. La giornata era stata lunga: notti insonne, panni da lavare, casa da riordinare, pranzi da preparare, e poi di nuovo pannolini. Tutto da sola, come al solito.

Poi, un pianto. Quello straziante che gela il sangue a qualsiasi mamma.

«Marco, vai da Matteo!» gridò Giulia, senza voltarsi, sperando in una reazione del marito.

Silenzio.

Lasciò cadere la paletta, abbandonò la padella sul fuoco e corse in camera. Prese il bambino in braccio, lo cullò, lo calmò. Tornata in cucina, sentì l’odore amaro delle polpette bruciate.

«Ecco, ora vanno buttate. Grazie mille, Marco», disse con amarezza.

Matteo ricominciò a piagnucolare. E Marco? Lui era incollato al televisore, dove la sua squadra del cuore stava giocando.

«Marco! Non riesco a fare tutto! Occupati del bambino!» urlò Giulia, alzando la voce. Ma dalla stanza esplose un urlo trionfante:

«GOOOOOOL!!!»

Al rumore, Matteo scoppiò in lacrime ancora più forte.

Giulia tornò di corsa, stringendolo al petto. Non sentiva più la stanchezza: dentro di lei ribolliva tutto. Tornata in cucina, si sedette al tavolo, chiudendo gli occhi. Poi si avvicinò a Marco.

«Marco, per favore. Porta Matteo a fare una passeggiata. Devo finire in cucina e prendere fiato…»

«Ma non vedi che sono occupato?» rispose lui, senza staccare gli occhi dallo schermo.

«Basta. Ne ho avuto abbastanza», disse Giulia gelida. «Goditi la tua libertà, Marco caro. Io me ne vado. Da mia mamma.»

Fece le valigie, prese Matteo e uscì. Un vicino, che stava uscendo dal palazzo, le aiutò con il passeggino. Un’ora dopo, Giulia era alla porta della casa di sua madre.

«Mamma, io e Matteo staremo qui per un po’.» La voce le tremava, ma negli occhi c’era decisione.

«Rimanete quanto volete», disse la madre. «Avete litigato?»

«No, sono solo stanca. Sei in ferie, no? Aiutami un po’, va bene?»

La sera, il telefono squillò. Sul display: «Marco».

«Giulia, dove sei andata?» chiese lui, confuso.

«Te l’ho detto prima di uscire. O forse il calcio era più importante?»

«Non ho sentito niente…» borbottò.

«Ed ecco il problema. Non senti mai. Né me. Né nostro figlio. Solo te e la palla che rotola.»

«Eccoci di nuovo», sbuffò lui, chiudendo la chiamata.

Un’ora dopo, un altro squillo:

«E la cena? Perché non l’hai preparata?»

«E tu perché non mi hai mai aiutato? Non ho avuto tempo. Sai perché? Perché devo fare tutto io.»

«E quando torni?»

«Non lo so. Forse tra un mese. Forse due.»

«E allora perché ti sei sposata, se poi scappi dalla mamma?!»

«Perché?» la sua voce si fece più alta. «Per cucinarti, pulire, stirare e sentirti urlare per la partita? È questo il sogno della mia vita! Una favola!»

«Vuoi che faccia le tue faccende? Non ci sperare! Preferisco divorziare piuttosto che fare il mammo!»

«E allora divorzia pure.» Chiuse la chiamata.

La madre, seduta in salotto, si avvicinò:

«Quindi avete litigato…»

«Mamma… non sono la sua domestica. Ho notti insonni. Chiedo solo un po’ d’aiuto. E lui mi minaccia col divorzio? Che vada al diavolo.»

«Giulia, non fare di testa tua. È vero, ha torto. Ma tuo figlio ha bisogno di un padre. Forse c’è ancora possibilità.»

Passò una settimana. Un altro squillo:

«Giulia, mi manchi… torna a casa», disse Marco con voce lamentosa.

«Sto appena ricominciando a respirare. Grazie a mamma.»

«Quindi non torni?» il tono cambiò di colpo.

«Torno. Se mi aiuti. Non ti chiedo di alzarti la notte. Ma il weekend, per favore. Sei suo padre.»

«Non ci contare! Io sono un uomo, non una donna! Quelle sono cose da femmine!»

Passò un mese. Matteo ora dormiva tutta la notte. Finalmente, Giulia si era ripresa. Un sabato, disse alla madre:

«Mamma, vado da Marco. Voglio provare a fare pace. Poi torneremo insieme a prendere Matteo.»

«Era ora, cara. Provaci ancora.»

Giulia arrivò a casa. Aveva ancora le chiavi. Aprì la porta, si tolse le scarpe. E allora le vide: un paio di scarpe da donna in corridoio.

Il cuore le si ghiacciò.

Entrò in camera. Lui era lì, sul letto. Non da solo.

Girò sui tacchi senza dire una parola, pallida.

«Giulia! Aspetta! Non è nulla di serio! Io… amo solo te!» Marco le corse dietro, disperato.

Lei non si voltò neanche. Quelle parole non avevano più alcun senso.

Avrebbe potuto perdonare tante cose: l’indifferenza, la pigrizia, perfino la sua mania per il calcio. Ma non il tradimento. Non con suo figlio ancora in vita. Non nella casa dove sperava di tornare.

A volte, tutto ciò che una donna chiede è essere ascoltata. Non per i pianti, ma per la quiete in cui un bambino dorme sereno. Per una casa dove non deve fare tutto da sola. Per un uomo che non ha paura di tenere in braccio sia suo figlio che sua moglie.

Ma se quell’uomo preferisce il telecomando alle sue responsabilità, allora non lamentarsi se un giorno lei se ne va. E non torna più.

Anche se le polpette, ormai, non bruciano più.

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