Le critiche di mia madre per il mio scarso aiuto verso mio fratello malato mi hanno spinta a scappare dopo la scuola.

Le rimproveri di mia madre per non aiutare abbastanza mio fratello malato mi hanno spinta a scappare dopo scuola.
Mamma mi accusava di non starle vicino con mio fratello, ma appena finita la scuola, ho afferrato le mie cose e sono sparita.

Fiammetta era seduta su una panchina nel parco di Bologna, a guardare le foglie cadere e danzare nel vento freddo dell’autunno. Il telefono vibrò di nuovo un nuovo messaggio di sua madre, Isabella: « Ci hai abbandonato, Fiammetta! Marcello sta sempre peggio, e tu vivi come se niente fosse!» Ogni parola era un colpo al cuore, ma Fiammetta non rispondeva. Non poteva. Dentro di lei si mescolavano colpa, rabbia e dolore, che la trascinavano verso quella casa che aveva lasciato cinque anni prima. Allepoca, a diciotto anni, aveva fatto una scelta che aveva diviso la sua vita in un “prima” e un “dopo”. E ora, a ventitré, si chiedeva ancora se aveva fatto bene.

Fiammetta era cresciuta allombra del fratellino, Marcello. Aveva tre anni quando i medici gli diagnosticarono una grave forma di epilessia. Da quel momento, la loro casa era diventata una camera dospedale. La madre, Isabella, si era dedicata completamente a lui: medicine, dottori, esami senza fine. Il padre, invece, aveva mollato tutto, incapace di reggere la pressione, lasciando Isabella sola con due figli. Fiammetta, che allora aveva sette anni, era diventata invisibile. La sua infanzia svaniva tra le cure costanti per Marcello. «Fiammetta, aiutami con Marcello», «Fiammetta, fai meno rumore, non devi agitarlo», «Fiammetta, aspetta un attimo, ora non è il momento». Aveva pazientato, ma ogni anno sentiva i suoi sogni allontanarsi un po di più.

Da adolescente, Fiammetta aveva imparato a essere “pratica”. Cucinava, puliva, badava a Marcello mentre sua madre correva da un ospedale allaltro. Le amiche del liceo la invitavano a uscire, ma lei rifiutava a casa avevano sempre bisogno di lei. Isabella la lodava: «Sei la mia roccia, Fiammetta», ma quelle parole non la scaldavano. Fiammetta vedeva lo sguardo che sua madre riservava a Marcello pieno damore, ma anche di disperazione e capiva che a lei non sarebbe mai toccato lo stesso. Non era una figlia, ma unassistente, il cui compito era alleviare il peso della famiglia. In fondo, amava suo fratello, ma quellamore era macchiato di stanchezza e risentimento.

Allultimo anno di liceo, Fiammetta si sentiva come unombra. I compagni parlavano di università, serate, progetti per il futuro, mentre lei poteva pensare solo alle bollette mediche e alle lacrime di sua madre. Un giorno, tornando da scuola, trovò Isabella in crisi: «Marcello ha bisogno di una nuova cura, e non abbiamo i soldi! Devi aiutarci, Fiammetta, trovati un lavoro dopo il diploma!» In quel momento, qualcosa in lei si ruppe. Guardò sua madre, suo fratello, quelle mura che la soffocavano da sempre, e capì: se fosse rimasta, sarebbe scomparsa per sempre. Le faceva male, ma non poteva più essere quella che tutti si aspettavano.

Dopo la maturità, Fiammetta riempì lo zaino. Lasciò un biglietto: «Mamma, ti voglio bene, ma devo andare. Perdonami.» Con cinquecento euro, messi da parte facendo lavoretti, comprò un biglietto per Milano. Quella sera, seduta sul treno, pianse, sentendosi una traditrice. Ma nel suo petto batteva anche qualcosa di nuovo la speranza. Voleva vivere, studiare, respirare, senza dover pensare ai corridoi degli ospedali. A Milano, affittò un letto in una residenza universitaria, fece la cameriera, si iscrisse ai corsi serali. Per la prima volta, si sentì una persona, non un ingranaggio.

Isabella non le perdonò. I primi mesi, chiamava, urlava, supplicava: «Sei egoista! Marcello soffre senza di te!» La sua voce la feriva come un coltello. Mandava soldi quando poteva, ma non sarebbe tornata. Con il tempo, le chiamate si fecero più rare, ma ogni messaggio era pieno di rimproveri. Fiammetta sapeva che Marcello stava male, che sua madre era stremata, ma non poteva più portare quel peso. Voleva amare suo fratello come una sorella, non come uninfermiera. Eppure, ogni volta che leggeva le parole di sua madre, si chiedeva: «Se fossi rimasta, chi sarei diventata?»

Oggi Fiammetta vive la sua vita. Ha un lavoro, amici, progetti per la magistrale. Ma il passato la raggiunge. Pensa a Marcello, al suo sorriso nei giorni in cui stava meglio. Ama sua madre, ma non può dimenticare linfanzia rubata. Isabella continua a scrivere, e ogni messaggio è come leco di quella casa da cui è scappata. Fiammetta non sa se un giorno potrà tornare, spiegarsi, riconciliarsi. Ma una cosa è certa: quel giorno, quando il treno lha portata lontano da Bologna, ha salvato se stessa. E questa verità, per quanto amara, le dà la forza di andare avanti.

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Le critiche di mia madre per il mio scarso aiuto verso mio fratello malato mi hanno spinta a scappare dopo la scuola.