Le dice alla mamma che studia, ma lavora per pagare le sue chemioterapie: la storia di un sacrificio d’amore

Dicevo a mamma che studiavo, ma in realtà lavoravo per pagare le sue chemioterapie.
Ogni mattina mi alzavo alle cinque per arrivare al primo lavoro. Mentre mi preparavo in silenzio, sentivo mamma tossire nella stanza accanto. Quella tosse che mi spezzava il cuore e che ogni giorno sembrava più debole.

«Te ne vai già, tesoro?» mi chiedeva dal letto quando mi affacciavo per salutarla.
«Sì, mamma. Ho lezione presto alluniversità» mentivo con un sorriso tirato. «La borsa di studio copre tutto, ricordi? Non preoccuparti.»

I suoi occhi si illuminavano ogni volta che accennavo ai miei “studi”. Era lunica cosa che la calmava in mezzo a tutto quel dolore.
«Che orgoglio, Vittoria. Mia figlia diventerà dottoressa» sussurrava, e io ingoiavo le lacrime.

La verità? Non avevo mai messo piede in unaula universitaria. Quella “borsa di studio” era una mia invenzione. Lavoravo dalle sei del mattino alle due in una pasticceria, e dalle quattro alle undici di sera pulendo uffici. Tutto per pagare le chemioterapie che lassicurazione non copriva interamente.

Un martedì mattina, mentre servivo caffè allospedale dove mamma faceva le cure, il Dottor Bianchi si avvicinò al mio banco.
«Vittoria? Sei la figlia della signora Lucia, vero?»

Mi si gelò il sangue. «Sì, dottore. Sta tutto bene? È successo qualcosa a mamma?»
«È stabile, tranquilla» sorrise. «Ma devo parlarti. Hai un attimo?»

Mi tremavano le gambe. «Riguarda i pagamenti? Prometto che questa settimana sistemo tutto»
«Non è quello» mi interruppe gentilmente. «Tua madre mi ha detto che studi medicina con una borsa completa.»

Sentii il mondo crollarmi addosso. «Io dottore, posso spiegare»
«Vittoria, lavoro qui da quindici anni. Conosco tutti i borsisti di medicina della città» mi guardò con comprensione. «E ti vedo lavorare qui da mesi, sempre di corsa tra un turno e laltro.»

Le lacrime mi rigarono le guance. «Per favore, non glielo dica. È lunica cosa che la tiene aggrappata alla vita. Se scopre che ho lasciato gli studi per lei»
«Non glielo dirò» mi rassicurò. «Ma voglio aiutarti. Ho contatti alluniversità. Possiamo trasformare quella bugia in realtà.»

Non credevo alle mie orecchie. «Dottore, non ho i soldi per»
«Le tasse sono coperte. Devi solo presentarti domani alle otto alla facoltà di medicina. Ho parlato con il rettore, un vecchio amico.»

Rimasi senza parole, piangendo come una bambina.
«Perché lo fa per me?» riuscii a dire tra i singhiozzi.

«Perché ho visto lamore con cui ti prendi cura di tua madre. Perché lavori diciotto ore al giorno senza lamentarti. E perché qualcuno come te merita di realizzare i sogni messi in pausa» mi mise una mano sulla spalla. «E poi, questo mondo ha bisogno di più dottori come te.»

Quella sera tornai a casa con il cuore pieno di speranza. Mamma era sveglia, come sempre ad aspettarmi.
«Comè andata alluniversità oggi, tesoro?»

Per la prima volta da mesi, il mio sorriso fu vero. «Benissimo, mamma. Domani iniziano i nuovi corsi. Sarà un anno fantastico.»
«Sei diversa, Vittoria. Più luminosa.»
«Perché finalmente sento che tutto andrà bene, mamma. Tutto andrà bene.»

Mentre la rimboccavo, capii che a volte le bugie più dolorose possono diventare le verità più belle. E che esistono angeli travestiti da dottori, che appaiono proprio quando servono di più.

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