I parenti della sposa non facevano che ripetere che nostro figlio avrebbe vissuto in una dimora sontuosa, ma le loro promesse si sono rivelate menzogne.
In un piccolo paese vicino a Napoli, dove la brezza marina porta con sé il profumo della libertà, la mia vita, a 58 anni, è oscurata dalla delusione verso persone che credevo famiglia. Mi chiamo Anna Romano, sono la moglie di Marco Bianchi e la madre del nostro unico figlio, Matteo. Quando Matteo si è fidanzato con Sofia, i suoi genitori ci hanno promesso mari e monti: “Vostro figlio vivrà in un palazzo, siamo pronti ad aiutarlo in ogni modo”. Ma le loro parole sono state vuote, e il loro aiuto solo motivo di disprezzo e umiliazione. Ora mi trovo di fronte a una scelta: tacere per amore di mio figlio o lottare per la giustizia.
**Il figlio per cui abbiamo vissuto**
Matteo è il nostro orgoglio. Io e Marco l’abbiamo cresciuto in campagna, in una modesta casa dove ogni centesimo contava. È diventato un uomo intelligente, laborioso, si è laureato e ora lavora come ingegnere a Napoli. A 30 anni ha incontrato Sofia, una ragazza di città, e se ne è innamorato. Eravamo felici per lui, anche se la sua famiglia ci è subito sembrata diversa—cittadina, piena di ambizioni. Al fidanzamento, i suoi genitori, Michele Rossi e Paola Conti, decantavano il loro appartamento, le conoscenze, le possibilità. “Matteo è fortunato, vivrà in un palazzo, non preoccupatevi, lo aiuteremo”, dicevano. E noi ci abbiamo creduto.
Sofia sembrava dolce: sorridente, affabile, con una laurea. Pensavamo sarebbe stata una buona moglie per nostro figlio. Abbiamo organizzato un matrimonio sfarzoso, io e Marco abbiamo speso tutti i nostri risparmi e siamo anche andati in debito pur di non fare brutta figura. I parenti di lei promettevano: “Anche noi contribuiremo, sosterremo la giovane coppia”. Ma dopo il matrimonio, il loro “aiuto” si è trasformato in un incubo che ha distrutto la nostra fiducia.
**La menzogna venuta a galla**
Matteo e Sofia si sono trasferiti nell’appartamento dei suoi genitori—quello stesso che loro chiamavano “palazzo”. Credevamo fosse uno spazio ampio, dove i giovani avrebbero vissuto comodamente. Invece era un vecchio trilocale, dove già abitavano i suoceri, la sorella minore di Sofia con marito e figlio, e adesso anche Matteo e Sofia. Sette persone strette in pochi metri, con un solo bagno e una cucina! Matteo dorme con Sofia in una stanza minuscola, mentre le loro cose sono ammassate in un angolo. Che palazzo? Sembra più una pensionante, non certo una casa per una coppia giovane.
I suoceri non solo non hanno mantenuto le promesse, ma hanno iniziato a sfruttare Matteo. Michele Rossi pretende che aggiusti la loro auto, li porti in campagna, li aiuti con le riparazioni. Paola Conti obbliga Sofia e Matteo a pagare le bollette di tutti, nonostante loro stessi facciano fatica ad arrivare a fine mese. “Vivete nella nostra casa, dovreste essere grati”, dicono. Matteo, il nostro buon figlio, rimane in silenzio per evitare litigi, ma vedo quanto sia esausto.
La cosa peggiore è il modo in cui ci trattano. Quando andiamo a trovarli, i suoceri ci guardano dall’alto in basso. “Voi siete di campagna, non potete capire la vita di città”, una volta ha sbottato Paola Conti. Ridono del nostro accento, dei nostri vestiti, persino delle conserve che portiamo da casa. La sorella minore di Sofia, Giulia, ci chiama apertamente “rozzi di campagna”. Ho sopportato per Matteo, ma i loro scherni sono come un coltello piantato nel cuore.
**Il dolore per mio figlio**
Matteo è cambiato. È diventato silenzioso, stanco. Mi dice che Sofia litiga spesso con lui per colpa dei suoi genitori, ma mi chiede di non interferire. “Mamma, penserò io a sistemare le cose”, dice, ma vedo che sta affogando. Lui e Sofia vorrebbero affittare una casa, ma i suoceri li frenano: “Dove andrete? Non avete niente”. Io e Marco vorremmo aiutarli economicamente, ma abbiamo speso tutto per il matrimonio, e la pensione basta appena per noi. Mi sento impotente, vedendo come usano mio figlio.
Ho provato a parlare con Sofia. “I tuoi genitori promettevano aiuto, ma vi complicano solo la vita”, le ho detto. Ha annuito, ma ha risposto: “Sono fatti così, non posso cambiarli”. La sua debolezza mi ha delusa. Pensavo che sarebbe stata al fianco di Matteo, invece permette ai suoi di manipolarli entrambi. Marco si arrabbia: “Anna, non avremmo dovuto credere alle loro bugie”. Ma come potevamo saperlo?
**Cosa fare?**
Non so come aiutare mio figlio. Parlare con i suoceri? Ma non ci ascoltano, ci disprezzano. Convincere Matteo ad andarsene? Lui ama Sofia e non vuole conflitti. O tacere, per non distruggere la sua famiglia? Ma ogni giorno che passa in quell’inferno mi spezza il cuore. Le mie amiche mi dicono: “Portalo a casa tua, che ripartano da zero”. Ma lui è adulto, non posso decidere per lui.
A 58 anni, vorrei vedere Matteo felice, in una casa sua, con una moglie che lo sostiene. Ma i suoceri, con le loro promesse, lo hanno intrappolato, e le loro risate ci umiliano. Mi sento ingannata, ma soprattutto ho paura per mio figlio. Come proteggerlo senza perderlo? Come costringere quella gente a rispondere delle loro bugie?
**Il mio grido per la giustizia**
Questa storia è il mio urlo per il diritto alla verità. I suoceri, Michele Rossi e Paola Conti, forse non volevano far male, ma le loro menzogne e il loro disprezzo stanno rovinando la vita di mio figlio. Matteo forse ama Sofia, ma il suo silenzio lo rende prigioniero di quella famiglia. Voglio che mio figlio viva in un mondo dove è rispettato, dove la sua casa non sia una gabbia, ma un rifugio. Anche se la battaglia sarà dura, troverò il modo di difenderlo.
Io sono Anna Romano, e non permetterò che i suoceri trasformino la vita di mio figlio in un loro gioco. Anche se per fermarli dovrò dirglielo in faccia.