Lorenzo e Massimo sono amici per sempre.
Massimo stava discutendo di lavoro con i colleghi nel suo ufficio quando il telefono sul tavolo vibrò. Stava per ignorare la chiamata, ma sullo schermo vide il nome di un amico del liceo.
“Scusate,” disse ai colleghi, prese il telefono e uscì.
“Pronto,” rispose con cautela. Aveva un amico di nome Lorenzo, ma erano trascorsi così tanti anni… Non sapeva neppure che il suo numero fosse ancora salvato, visto che aveva cambiato telefono più volte.
“Massì? Sei davvero tu? Sono Lorenzo. Pensavo avessi cambiato numero, non speravo neanche di trovarti,” disse una voce allegra dall’altra parte.
“Ciao, Lorenzo. Come va?” Massimo era ancora sorpreso e rispose in modo distaccato, con la solita domanda di circostanza. Ma Lorenzo non se ne accorse e continuò entusiasta:
“Benissimo! Sono a Milano. Senti, so che è orario di lavoro, forse non è il momento migliore… ma ci vediamo? Sono passati anni. Chissà quando avremo un’altra occasione.”
“Ascolta, ho una riunione tra poco. Posso liberarmi tra un’ora. Dimmi dove sei. Accidenti, che piacere sentirti,” rispose Massimo, con una voce finalmente più calda.
“Sono alla stazione Centrale. Aspetto davanti all’ingresso principale.”
“Ti trovo. Non andare via, ok? Aspettami,” disse Massimo prima di rientrare in ufficio.
Continuò a parlare, a partecipare alla discussione, ma nella sua mente c’era solo Lorenzo. Non si vedevano da quindici anni, da quando era partito per l’università lontano dalla loro città natale.
Massimo parcheggiò l’auto e si diresse verso la stazione. Come sempre, c’era una folla di gente. Si guardò intorno, cercando tra i volti.
“Massì!” Un uomo sorridente gli venne incontro, e Massimo faticò a riconoscere l’amico del liceo. Si fermarono, per un attimo si scrutarono, poi si strinsero la mano e infine, senza bisogno di parole, si abbracciarono.
“Massì…”
“Lenzu…”
“Massì… Non credo ai miei occhi.” E Lorenzo lo abbracciò di nuovo. “Sei in gran forma. Vedo che sei diventato un pezzo grosso. Lo sapevo che avresti fatto strada. Qui è troppo rumoroso. Andiamo a prendere un caffè?”
“D’accordo,” annuì Massimo. “Ho la macchina. C’è un posto carino qui vicino. Sei a per lavoro a Milano?”
“Ho portato mia suocera per un’operazione. Ha un problema all’anca, fa fatica a camminare. Abbiamo aspettato mesi per la visita. Oddio! Questa è la tua macchina?” Lorenzo guardò incredulo il suv lussuoso.
“La mia, salta su,” sorrise Massimo, compiaciuto dall’effetto che aveva fatto.
Tra le esclamazioni stupite di Lorenzo, Massimo si immise nel traffico, svoltò in una stradina laterale e, dopo pochi minuti, fermò l’auto. Il caffè era accogliente, con poca luce nonostante fosse giorno. Pochi avventori, un silenzio piacevole dopo il caos della stazione.
“Ecco, qui finalmente possiamo parlare. Siediti e raccontami tutto.” Ma non fecero in tempo a sedersi che arrivò la cameriera.
“Un caffè senza zucchero per me, e per il mio amico…” Massimo guardò Lorenzo.
“Anch’io caffè,” rispose in fretta.
“Per il mio amico una bistecca con patate, un caffè e un dolce.”
La cameriera se ne andò.
“Non guardarmi così. Dovrai tornare in treno, dubito che tu abbia mangiato stamattina.”
“Giusto. Io e mia suocera abbiamo impiegato tre ore per arrivare in ospedale. Cammina a malapena… Ma pago io.”
Massimo non rispose.
“Non pensare che abbia bisogno di aiuto. L’operazione è coperta dal SSN. Volevo solo… vederti. Ho provato a chiamare, pensavo che avessi cambiato numero, e invece mi hai risposto,” ripeté Lorenzo.
“Lo so. Dimmi di te. Sei sposato?”
“Sì. Ho due figli. Un maschio di undici anni e Caterina che ne ha sette, sta finendo la prima elementare. Mio suocero mi ha lasciato un’officina quando è morto, ora la gestisco io. Se lo dico a Marika che ti ho visto, non mi crede.”
“Quale Marika?” Massimo fece una faccia stupita. “Aspetta, sei sposato con Marika?”
“La ricordi? Sì, con lei.” Lorenzo sorrise. “Al liceo ti correva dietro. Non ti dava tregua. Ti ricordi quando scappavamo da lei dopo scuola? A me piaceva già allora. Non lo sapevi? Quando te ne andasti, ci rimase male. Voleva persino seguirti a Milano, ma sua madre glielo impedì. Poi abbiamo iniziato a frequentarci. Così è andata. Finalmente ti ho superato in qualcosa. E tu? Vedo che sei sposato.” Fece un cenno alla fede di Massimo.
“Sposato,” confermò. “Ma ancora niente figli.”
“Capisco. E dove lavori?”
“In un’azienda. Dirigo il reparto vendite.”
“Accidenti. Vivi a Milano, macchina di lusso… Sei quello che ha fatto meglio tra tutti noi,” disse Lorenzo con approvazione.
Massimo sorrise senza enfasi.
“Ti ricordi quando andavamo a pescare? Quella volta che scappammo di casa per andare al Polo Nord? Quanto ci siamo presi dai nostri genitori! Io non riuscivo a sedermi per giorni…”
“E quando per poco non bruciammo il capanno in campagna?” lo interruppe Massimo.
“Eh, che tempi.” Gli occhi di Lorenzo si velarono di malinconia. “Lo sapevo che saresti arrivato lontano.”
“Non invidiarmi,” disse Massimo.
“Non ti invidio, solo un pochino. No, non mi lamento. Mio suocero mi ha lasciato una vecchia Fiat, l’ho restaurata, cambiato il motore, va che è una meraviglia. Marika è una brava moglie, i bambini… Darei l’anima per loro. Sai, se ci penso, non posso lamentarmi. E tu?”
“Io cosa?” Massimo non capì.
“Vivi a Milano, hai un buon lavoro, la macchina, i soldi. Sei felice?” Lo sguardo di Lorenzo divenne serio.
“Non lo so. Non ci ho pensato. Dove vuoi arrivare?”
“Dai, lo capisci. Siamo di mondi diversi, come pianeti lontani. Tu eccolo qui, in giacca e cravatta… Non so neanche di cosa parlarti.”
“Lorenzo, smettila. Sono felicissimo di averti rivisto,” sorrise Massimo.
“Felice, dici? E allora perché non hai mai chiamato in tutti questi anni? Te ne sei andato e basta,” fece notare Lorenzo, un po’ amareggiato.
“Ma neanche tu hai chiamato,” ribatté Massimo. La conversazione stava prendendo una piega strana.
“Siamo orgogliosi.” Lorenzo parlò improvvisamente al plurale. “Va bene, lascia stare, mi sono lasciato trasportare. Sei un grande, hai ottenuto tutto quello che volevi. Non ti è caduto dal cielo.”
“Giusto,” confermò Massimo.
“Tua moglie almeno è bella?” chiese Lorenzo, addolcendosi.
Massimo pensò ad Alice, elegante nei suoi vestiti alla moda, con i capelli perfetti e la pelle liscia…
“Bellissima…” In quel momento arrivò la cameriera con il vassoio, posando le portate sul tavolo. Sentirono l’aroma del caffè. Quando se ne fu andata, Lorenzo si strofinò le mani.
“Mentre sorseggiavano il caffè, Massimo capì che la ricchezza non era nei soldi o nella carriera, ma negli abbracci sinceri di un amico che il tempo non aveva cambiato.