«Lei è davvero affascinante. Io ho smesso di farci caso» pensò.

«Davvero sta bene. E io ho smesso di notarlo», pensò Vittorio.

La mattinata, come sempre, fu un pandemonio. Federica preparò la colazione, svegliò la piccola Ginevra. Il marito aveva occupato il bagno, così dovette lavare la bambina in cucina. Con un movimento involontario, il suo asciugamano fece cadere una tazza dal tavolo. Al rumore accorse il marito. Federica gli chiese di tenere Ginevra in braccio mentre raccoglieva i cocci dal pavimento.

«Uffa, direi che è tutto», sbuffò lei, poi si precipitò a vestirsi.

«Devo scappare, tu porta Ginevra all’asilo. Oggi è una giornata importante», disse già dall’ingresso, chiudendo la cerniera degli stivali. «Devo presentare il mio progetto. Se andrà bene, mi affideranno la direzione, e questo significa soldi, esperienza e un bel curriculum.»

Indossò il cappotto, lanciò un ultimo sguardo critico allo specchio, afferrò la borsa e uscì di casa. Vittorio non riuscì nemmeno a protestare.

Finì il caffè e il panino, mentre Ginevra lo fissava accanto a lui.

«Ne vuoi un po’?»

La bambina annuì.

«No, non puoi, altrimenti non mangerai la pappa all’asilo.»

Al solo nominare la pappa, Ginevra fece una smorfia.

«Anche a me tante cose non piacciono. Tipo quando la mamma scappa di casa. Su questo, pare non ci sia rimedio», borbottò Vittorio, posando la tazza vuota nel lavandino.

Ci mise un’eternità a farle indossare i collant, che si attorcigliavano sempre. Poi cercò a lungo i guantini, che infine trovò sul termosifone della cucina. Sudati e spettinati, uscirono finalmente di casa. Vittorio sollevò la bambina e scese di corsa le scale.

La consegnò alle maestre, ma una di loro iniziò a spiegargli qualcosa.

«Scusi, sono in ritardo», la interruppe, fuggendo dalla stanza come un ladro.

Solo in macchina tirò un sospiro di sollievo. Ci mise un minuto a riprendersi dalla corsa mattutina, poi partì per il lavoro.

Per tutto il tragitto ripensò a quanto fosse bello quando Federica stava a casa. Lui usciva tranquillo e rientrava in un appartamento in ordine, dove già profumava di cena. Senza nervosismi. Adesso invece era tutto di corsa. No, non poteva continuare così.

Tante donne avrebbero dato chissà cosa per essere al suo posto e stare a casa. A lei invece serviva autonomia, la carriera. Allora perché si era sposata? Avrebbe dovuto pensare solo al lavoro. Doveva convincerla a rinunciare. Davvero i soldi non bastavano? Vittorio decise di parlarle quella sera. L’umore gli migliorò all’istante.

Il lavoro lo distrasse dai disastri della mattina. Dopo pranzo, un messaggio di Federica: sarebbe tornata tardi, doveva passare lui a prendere Ginevra.

Ecco, ci siamo. E lui che sperava di fermarsi al bar con gli amici. Si vedevano già così di rado. L’umore gli crollò di nuovo.

Quella sera, mentre friggeva le patate, arrivò Federica, raggiante e con gli occhi scintillanti. Senza nemmeno togliersi il cappotto, entrò in cucina.

«Immagina, la mia presentazione ha fatto colpo! Mi hanno nominato responsabile del progetto! Felice per me?» Si alzò sulle punte e gli offrì la guancia per un bacio. Vittorio la baciò distrattamente.

«Non sei contento?» Notò la sua espressione spenta.

«Certo che sì. Fantastico! Mia moglie fa carriera. Le affidano un progetto. Per me e Ginevra non ha più tempo. Tutto perfetto!» rispose sarcastico.

«Ma che ti prende? Sei invidioso perché ho avuto successo mentre tu rimani un semplice impiegato?»

«Che c’entra l’invidia? Vedi Ginevra solo la mattina e nei weekend. Fra poco non ti riconoscerà più. I soldi non ti bastano?»

«Non urlare. Non è di Ginevra che ti preoccupi, ma di te. Sì, guadagnerò più di te. E questo ti dà fastidio. Non capisci? Voglio fare ciò che mi piace, non stare chiusa in casa. Voglio essere bella. Proprio come quando ti sono piaciuta. O no?»

Vittorio esitò, senza sapere cosa rispondere. Era la verità.

«Ma quello era prima. Ora abbiamo una figlia. E una bambina ha bisogno della mE quella sera, mentre Ginevra dormiva serena tra loro, Vittorio strinse la mano di Federica e capì che l’amore, se è vero, sa trovare sempre la sua strada.

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«Lei è davvero affascinante. Io ho smesso di farci caso» pensò.