L’eredità del vuoto e lo specchio dell’anima: confessioni di una nonna

Oh, nipotina, avvicinati, ti racconto una storia della mia vita. Eccomi qui, in una casa di riposo, e la memoria spesso mi riporta a quel giorno in cui ho radunato i miei figli per annunciare il testamento. Erano in cinque, e mi guardavano in modi diversichi con impazienza, come in stazione aspettando un treno per una vita migliore, chi seduto in silenzio, come se fosse lì ma non del tutto.

Olga, la maggiore, con la sua camicia di seta e il braccialetto luccicante, si sistemava perché aveva un incontro, capisci? Nella sua testa, era già al centro del mondo, tra affari, carriera e connessioni importanti. Pietro, il secondo, aggiustava la cravatta, parlava di un accordo cruciale e mi faceva locchiolino, come quando anni fa mi propose quel suo “progetto di allevamento di lumache”.

Irene stava in un angolo, triste, con il mutuo da pagare, i figli malati e un marito che faticava ad arrivare a fine mese. E poi cera Domenico, il più grande, freddo e distante come sempre. Solo Gabriele, il più giovane, se ne stava in disparte, senza guardare nessuno, semplicemente presente.

Li osservavo, e quei cinque buste sul tavolo davanti a me. Sapevo che dovevo parlare chiaro, senza giri di parole.

“Per ognuno di voi cè una lettera, la mia ultima volontà,” dissi.

Presi la prima busta e la porsi a Olga.
Tutta sicura di sé, la strappò, aspettandosi documenti importanti, soldi, eredità. Ma dentro… cera solo un piccolo specchio. La sua espressione cambiòdelusione, rabbia, incredulità.

“Che cosè? Uno scherzo?” sussurrò.

Risposi tranquilla: “È tutto quello che volevo lasciarti. Puoi guardarti.”

Ricordo quando, sei mesi fa, mi ammalai e mi ruppi una gamba. Chiesi a Irene di portarmi almeno la spesa. E lei? Disse che era depressa, senza forze, e poi postò foto felici al ristorante sui social. E continuava a raccontarmi quanto fosse difficile la sua vita.

Poi toccò a Pietro. Apri la busta, vide lo specchio e aggrottò le sopracciglia.

“Vuoi dire che non riceviamo niente?” ringhiò. “La legge è dalla nostra parte!”

Lo fissai severa: “Ricordi quando vendesti la nostra vecchia Fiat per due soldi, e poi qualcuno la rivendette per un milione? Mi hai rubato non solo i soldi, ma anche i ricordi di tuo padre. Guardati nello specchio, forse vedrai un ladro, non un uomo daffari.”

Balzò in piedi, urlando minacce di avvocati, ma io rimasi ferma.

Irene, scoppiata in lacrime, cercò di convincermi del suo affetto, ma sapevo bene che era solo una recita.

Le porsi la sua busta. Le mani le tremavano mentre la apriva e trovò lo specchio.

“Perché? Io cero sempre!” implorò.

“Ti compativi soltanto,” risposi. “Ricordi quando chiedesti soldi per ‘curare’ tuo figlio? Era sano, e voi siete andati in vacanza. La tua ‘pietà’ era solo uno spettacolo.”

Domenico taceva, impassibile come una statua. Aprì la sua busta in silenzio e trovò lo specchio.

“E io cosa ho sbagliato?” chiese con calma.

“Sei stato semplicemente assente,” dissi. “Non ceri, quando serviva.”

Infine Gabriele, lultimo. Non voleva prendere la busta, mi supplicò di non farlo. Ma insistetti: “Devi, figliolo.”

E quando laprì, dentro non cera uno specchio, ma il vero testamento: la casa, i conti, tutto ciò che avevoera suo.

Lui era lunico che non mi aveva mai vista come un problema o una “vacca da mungere”. Era rimasto vicino per amore.

Guardai i loro voltirabbia, stupore, delusione.

“La giustizia non esiste,” dissi. “La si crea. E oggi lho fatta io.”

E li mandai via.

Ecco, nipotina, la vita ha sistemato tutto al suo posto. A volte, la cosa più preziosa che puoi lasciare è uno specchio, per guardarsi in faccia. Altre volte, è il vero affetto, che non si compra con i soldi.

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