Ho sessantanni e vivo a Bologna. Mai avrei immaginato che, dopo ventanni di totale quiete, il passato potesse ricomparire nella mia vita in modo così crudo e cinico. Il colpevole di questo ritorno è il mio stesso figlio.
Alletà di venticinque anni ero folgorata dalla passione. Marco alto, affascinante, pieno di vita sembrava la realizzazione di un sogno. Ci sposammo in fretta e, un anno dopo, nacque nostro figlio Filippo. I primi anni furono una favola: abitavamo in un piccolo appartamento, sognavamo insieme, progettavamo il futuro. Io insegnavo, lui era ingegnere. Sembrava che nulla potesse infrangere la nostra felicità.
Col tempo Marco cominciò a cambiare. Arrivava sempre più tardi, mentiva, si allontanava. Ignoravo i rumori dei passi nella notte, i profumi strani, convinta che fossero solo chiacchiere. Poi la verità esplose: mi tradiva, e non una volta sola. Amici, vicini, persino i genitori sapevano della sua infedeltà. Io cercai di tenere insieme la famiglia per il bene di Filippo, sperando che Marco si rendesse conto. Una notte, svegliata dal silenzio, compresi che era finita. Presi le nostre cose, presi per mano il piccolo di cinque anni e andai a vivere da mia madre. Marco non fece neanche una mossa per fermarci. Un mese dopo partì allestero per lavoro, trovò unaltra donna e ci cancellò dalla sua vita. Nessuna lettera, nessuna chiamata, solo indifferenza. Rimasi sola. Mia madre morì, poi mio padre. Filippo e io superammo tutto: scuola, hobby, malattie, gioie, lesame di maturità. Lavoravo a tre turni perché non gli mancasse nulla. Non avevo tempo per una relazione; lui era tutto per me.
Quando Filippo fu accettato allUniversità di Padova lo sostenni con pacchi, soldi e incoraggiamento. Non potevo comprargli una casa, ma non si lamentò mai, convinto che potesse farcela da solo. Ero fiera di lui.
Un mese fa tornò da me con una notizia: aveva deciso di sposarsi. Lentusiasmo durò poco; il suo sguardo tradiva nervosismo. Poi, a voce rotta, mi disse: Mamma ho bisogno del tuo aiuto. È una questione di papà. Rimasi come pietrificata. Mi raccontò che aveva ripreso i contatti con Marco, che era tornato in Germania e gli aveva offerto le chiavi di un bilocale ereditato dalla nonna, con una sola condizione: dovevo risposarmi e permettere a Marco di vivere nella mia casa.
Il fiato mi si bloccò. Guardai il figlio, incredula. Continuò: Sei sola, non hai nessuno. Perché non provi un nuovo inizio? Per me, per la tua futura famiglia. Papà è cambiato Mi alzai in silenzio e andai in cucina. Il bollitore, il tè, le mani che tremavano; tutto si offuscava. Ventanni avevo portato il peso della vita da sola. Ventanni Marco non si era mai chiesto come stessimo. E ora tornava con un affare.
Ritornai in soggiorno e, con voce ferma, dissi: No, non accetterò. Filippo scoppiò in rabbia, urlò, mi accusò di essere egoista, di avergli negato un padre, di distruggere nuovamente la sua vita. Restai in silenzio, perché ogni sua parola era una lama. Non sapeva delle notti insonni, di come avessi venduto lanello di nozze per comprargli una giacca invernale, di come mi fossero negati i piccoli piaceri per far sì che mangiasse la carne e non io.
Non mi sento sola. La mia vita è dura, ma onesta. Ho un lavoro, libri, un giardino, amiche. Non ho bisogno di una persona che una volta mi tradì e che ora ritorna non per amore, ma per comodità. Filippo se ne andò senza salutarmi e da allora non ha più chiamato. So che è ferito, lo capisco, vuole il meglio per sé, come ho sempre fatto io. Ma non posso vendere la mia dignità per pochi metri quadrati. Il prezzo è troppo alto.
Forse un giorno capirà, forse no. Io aspetterò, perché lo amo con amore vero, senza condizioni, senza abitazioni né se. Lho generato e cresciuto per amore, e non permetterò che lamore diventi merce.
Il mio exmarito, invece, dovrebbe restare nel passato, dove appartiene. La lezione che ho imparato è che la dignità non ha prezzo: nessuno dovrebbe scambiare la propria integrità per un tetto, perché solo chi mantiene i propri principi vive davvero libero.





