**La Lezione di Scuola, o la Piccola Celeste**
Giorgio Mancini stava tornando dalla mensa. Aveva già messo il piede sul primo gradino delle scale quando udì un fruscio sotto di esse. Si chinò a guardare e vide Stefano e Pasquale nascosti lì.
“Che state facendo?”
“Niente. Va’ dove devi andare,” fece Stefano, scostandolo con un gesto.
In quel momento suonò la campanella. Stefano e Pasquale sbucarono dal loro nascondiglio, nascondendo qualcosa nelle tasche, e tutti e tre corsero su per le scale saltando due gradini alla volta. Furono gli ultimi a entrare in classe.
La Piccola Celeste stava scrivendo alla lavagna i compiti per il compito in classe. I ragazzi si affrettarono a sedersi. Giorgio si guardò intorno: i compagni sussurravano, infilando i libri sotto il banco per copiare.
Celeste si girò di scatto, e la classe tacque.
“Se vedo qualcuno copiare, metto subito un due,” disse severa, arrossendo. Poi si voltò di nuovo verso la lavagna. Il fruscio riprese all’istante.
Insegnava nella loro scuola solo da un anno, fresco di laurea in pedagogia. La giovinezza di Celeste Martini cercava di nasconderla dietro una severità forzata e grandi occhiali con lenti neutre e montatura nera. Ogni volta che alzava la voce, arrossiva. E piaceva molto a Giorgio.
Fu lui a soprannominarla affettuosamente “Piccola Celeste”, e presto tutti la chiamarono così. Quell’anno era diventata la professoressa principale della prima media B. I ragazzi, ma anche le ragazze, combinavano spesso guai, disturbando le lezioni. La Piccola Celeste si perdeva, incapace di ristabilire l’ordine. Una volta a Giorgio sembrò che stesse per piangere. Non resistette, si alzò e sgridò i compagni:
“Basta! Siete pazzi? Sta cercando di aiutarvi! Se non volete studiare, almeno non disturbate gli altri.”
Fu così inaspettato che tutti tacquero. Solo Pasquale ridacchiò, dicendo che Mancini era innamorato. Gli altri lo zittirono. Da allora, la classe si calmò.
Celeste finì di scrivere i compiti e posò il gesso quando alcune palline di carta, lanciate da una cannuccia ricavata da una penna, la colpirono alla schiena. Alcune rimasero impigliate nei suoi capelli.
La Piccola Celeste le scrollò via con disgusto, come fossero ragni disgustosi. Qualcuno rise. Giorgio si voltò verso l’ultimo banco, dove sedevano Stefano e Pasquale. Sembravano impassibili, ma dallo sguardo furbo capì che erano stati loro. *Ecco cosa preparavano sotto le scale…*
“Apriete i quaderni,” disse Celeste con una voce tesa.
Gli alunni ricominciarono a frugare nei banchi.
“Chi siede a sinistra fa il primo esercizio, gli altri il secondo.” Celeste si sedette alla cattedra.
Tutti chinarono la testa sui quaderni, mentre Giorgio mostrò un pugno a Stefano e Pasquale. Un’altra raffica di palline partì verso la cattedra, ma colpì solo le ragazze davanti.
“Professoressa, Scorza e Ferrini stanno lanciando cose!” si lamentò Marta Bianchi.
“Ma chi, noi? Non abbiamo fatto niente!” protestò Stefano, alzandosi. E in quel momento Giorgio gli tirò una pallina di carta stretta.
“Ahi!” gridò Stefano, portandosi una mano alla guancia. “Visto?”
“Mancini!” esclamò Celeste, alzandosi. “Da te non me lo aspettavo. Il diario sul tavolo. Due nel compito!” Arrossata, si risedette e aprì il registro.
Giorgio, a testa bassa, le portò il diario. Celeste scrisse un’annotazione con gesto ampio. Restituendoglielo, disse che il giorno dopo dovevano venire i genitori.
“Com’è andata a scuola?” chiese il padre quella sera.
“Bene. La Piccola Celeste ti ha chiamato.”
“Che hai combinato?” domandò il padre.
“Niente,” borbottò Giorgio.
“Niente? Per niente non ti chiamano. Parla.”
“Oggi c’era il compito di matematica. Stefano e Pasquale hanno iniziato a lanciare palline alla professoressa… Celeste Martini,” si corresse. “Mi è dispiaciuto e ho risposto, tirando a Stefano. Lei mi ha visto, mi ha messo due e mi ha cacciato.”
“Quindi sei stato punito ingiustamente?”
Giorgio alzò le spalle.
“Dovevo mandarti subito dalla nonna,” disse il padre, deluso.
“Papà, davvero non è colpa mia. Non mento. Non voglio andare dalla nonna,” protestò.
“Ne parleremo dopo.” Il padre si girò verso la tv, e Giorgio capì che era inutile discutere.
Mancavano due settimane alle vacanze. Sperava che qualcosa cambiasse, che il padre cambiasse idea.
Il giorno dopo, il padre di Giorgio andò a scuola durante la pausa pranzo. Celeste aveva un’ora libera e stava correggendo i compiti in sala professori.
“Buongiorno, sono Carlo Antonio Mancini,” si presentò, entrando senza bussare.
Celeste aggiustò gli occhiali, che le scivolavano sempre sul naso. Il padre di Giorgio era alto, robusto e attraente, sui trentacinque anni. La sua bellezza maschava colpì subito Celeste, facendole accelerare il cuore.
“Celia Martini, professoressa di tuo figlio,” rispose, alzandosi. Si tolse e rimise subito gli occhiali, nervosa.
“Devo dirle che…” Era molto più bassa di lui, quindi raddrizzò la schiena per sembrare più autorevole.
“No, sono io a doverle parlare,” la interruppe Carlo. “Mio figlio è innocente, e lei gli ha messo un due e lo ha cacciato. E ora mi chiama qui?”
Celeste pensò che si stesse prendendo gioco di lei.
“Ah, davvero?” chiese con tono altezzoso.
“Sì. Due ragazzi ieri hanno cercato di sabotare il compito. Speravano di essere mandati fuori. Hanno lanciato palline, no? Giorgio ha voluto difenderla e ha risposto. Risultato: punito lui, e loro no.”
“Il compito stesso era la punizione per loro. Entrambi vanno male in matematica. Dovevo esentarli? Quanto a Mancini,” il tono si addolcì, “è bravissimo. Quel compito era troppo facile. Il due, tra l’altro, non gliel’ho messo. E quei due hanno preso insufficienze.” Guardò la pila di quaderni.
“Ah, un esperimento educativo. Allora perché mi ha chiamato, se sa che mio figlio è innocente?”
*Perché davvero?* Il suo sguardo tradisce la confusione. Celeste si morse il labbro.
“Be’… Anche Giorgio ha lanciato,” disse incerta. “Ha usato i loro stessi metodi, anche se per una buona causa. Ha disturbato la classe.”
Carlo la osservò. *Giovane, carina, appena uscita dall’università. Cerca di sembrare severa e adulta con quegli occhiali ridicoli. Nessun figlio, eppure vuole educare i nostri…*
Celeste arrossì sotto il suo sguardo, sembrando una scolara.
*Anch’io l’avrei difesa,* pensò Carlo, distrattamente.
Un silenzio imbarazzante scese tra loro. Carlo si sentì in colpa.
“Senta, la madre di Giorgio è morta sei mesi fa. Un cancro fulminante. Volevo mandarlo dalla nonna, ma poi ho cambiato idea. Lavoro tutto il giorno, è spesso solo. È… è difficile per entrambi.” NonE mentre il sole tramontava dietro i tetti di Roma, Giorgio sorrise, sapendo che la sua famiglia, finalmente unita, aveva trovato la felicità in quel nuovo inizio.