Una Lezione per la Vita
Nonna Pasqualina osservava il nipote e aveva voglia di dargli una tale scapaccchiatina che si ricordasse per sempre la forza della nonna. Voleva colpirlo così forte sul sedere che gli bruciasse come il fuoco, tanto che Pietro avrebbe avuto voglia di togliersi i pantaloni e rinfrescare il culetto nell’acqua gelida del fiume.
Dalla finestra, vide Pietro e Giovanni—il ragazzo con le orecchie a sventola—che giocavano con una pagnotta di pane. Uno la teneva in una busta che si strappò, facendola cadere a terra, mentre l’altro la colpì con un calcio. Così i due monelli iniziarono a passarsela come un pallone.
Quando Pasqualina capì cos’era quello che stavano calciando, non credette ai suoi occhi. Con un grido disperato, cercò di uscire di corsa, ma sembrava correre sul posto. Prima le uscì un urlo strozzato dalla gola, poi un nodo le bloccò la voce. Arrivò da Pietro con le guance paonazze, la bocca spalancata a cercare aria come un pesce fuor d’acqua.
Con voce sibilante, disse:
“Ma questo è pane, è sacro! Come avete potuto?”
I ragazzi rimasero pietrificati vedendo la nonna inginocchiarsi, raccogliere il pane e scoppiare in lacrime.
Tornò a casa a passi lenti e incerti, stringendo la pagnotta al petto.
A casa, suo figlio Antonio capì subito cosa fosse successo non appena vide il pane sporco e malridotto. Senza una parola, si sfilò la cintura e uscì. Pasqualina sentì le urla di Pietro, ma questa volta non si mosse a difenderlo, come avrebbe fatto in passato.
Pietro, rosso dal pianto, rientrò in fretta e si rintanò sul divano. Antonio, agitando ancora la cintura, annunciò che da quel giorno Pietro avrebbe mangiato senza pane: zuppa, minestra, polpette—di cui ne divorava sette alla volta—latte o tè, niente più pane, niente taralli, niente panini. E la sera stessa minacciò di andare dai genitori di Giovanni per raccontare che bel calciatore avevano cresciuto.
Il padre di Giovanni, che faceva il trattorista, gli avrebbe spezzato le gambe. E il nonno, che per una pagnotta aveva passato dieci anni in prigione ai tempi più duri, gli avrebbe fatto passare la voglia di giocare.
Pasqualina, quando sfornava il pane, lo segnava con la croce, lo baciava e poi, con gli occhi lucidi, lo tagliava a fette spesse. In panetteria andava di rado—preferiva prepararlo in casa con la nuora nel forno a legna. Facevano sempre diverse pagnotte: fragranti, dorate, morbide. L’aroma riempiva ogni angolo della casa, stuzzicando l’appetito di chiunque passasse. Era impossibile resistere a una fetta di pane croccante con un bicchiere di latte fresco.
Quella sera, Antonio andò davvero dai genitori di Giovanni. Portò con sé quella stessa pagnotta sporca e la mise sul tavolo mentre la famiglia stava per cenare.
Appena vide Antonio e il pane, Giovanni si agitò come su braci ardenti. Ma il nonno lo afferrò per un orecchio e lo zittì all’istante.
Antonio spiegò in due parole l’accaduto. Senza pensarci due volte, il nonno tagliò una fetta larga dalla pagnotta sporca e disse:
“Questo è il pane che mangerà Giovanni finché non lo finirà. Non dico oggi, ma quando avrà mangiato tutto, solo allora tornerà a toccare del pane fresco.”
E subito spostò il pane pulito, mettendo davanti al nipote quello sporco.
L’indomani, Pietro non toccò il pane. Ricordava le parole del padre e il pianto della nonna inginocchiata per terra. La vergogna lo bruciava dentro. Non sapeva come affrontarla, come chiedere scusa.
Pasqualina lo ignorava. Se prima lo riempiva di attenzioni, ora gli metteva solo una tazza di latte e una scodella di minestra, senza neanche un pezzetto di pane.
Giovanni, invece, andò a scuola masticando sabbia, quasi piangendo. Chiese a Pietro di aiutarlo a finire quel pane, ma lui rispose che non era pazzo: aveva già abbastanza segni di cintura sul sedere.
La sera, Pietro si avvicinò alla nonna e la abbracciò.
Pasqualina rimase immobile, le braccia abbandonate. Pietro cercò di attirare la sua attenzione parlando dei suoi voti, dei compiti fatti, ma lei sembrava sorda. Alla fine, il bambino scoppiò in lacrime. Si sedette ai suoi piedi, poggiando la testa sulle sue ginocchia, e cercò di abbracciare la sua protettrice, la persona più buona che conoscesse.
La nonna gli sollevò il viso con le mani callose e lo guardò negli occhi.
Pietro non avrebbe mai dimenticato quello sguardo: dolore, delusione, pietà. Tutto scritto chiaro come su un libro.
Lo fece sedere accanto a sé e, con voce calma, gli disse:
“Ascolta, tesoro mio. Nella vita ci sono limiti che non devi mai superare, in nessun luogo e con nessuno: maltrattare i genitori anziani, far del male a un animale indifeso, tradire la patria, bestemmiare Dio e non rispettare il pane. Quando ero bambina, durante e dopo la guerra, sognavo solo di mangiare pane a sazietà—vero pane, senza crusca, senza patate o ortiche. Da sempre, il pane è il primo dono per gli sposi e gli ospiti. Calpestarlo è come sputare in faccia a tua madre. Durante la guerra, chi riceveva un pezzo di pane baciE da quel giorno, Pietro e Giovanni impararono che il pane non è solo cibo, ma rispetto, memoria e amore.