Era una serata lunga e pesante nel reparto di chirurgia, come se il tempo si fosse fermato, laria densa di odore di disinfettante e medicine. In un angolo della sala infermieri, illuminato solo da una fioca lampada, sedeva Caterina Rossi mingherlina, con gli occhi accesi e i capelli biondi arruffati. Sulle ginocchia teneva un libro aperto Pirandello, la sua consolazione, la sua fuga dalla realtà.
Le giornate le passava a studiare alluniversità di medicina, le notti a lavorare come infermiera, e quei rari momenti di silenzio erano la sua unica gioia. Leggere non era un semplice passatempo, ma un modo per sopravvivere, per tenersi stretta un pezzetto danima tra secchi di acqua sporca e pulizie dopo i pazienti.
“Ma, ma, che facciamo qui? Un circolo letterario?”
Una voce aspra e irritante squarciò il silenzio. Caterina trasalì. Il libro sparì dalle sue mani. Alzò lo sguardo davanti a lei cera il dottor Paolo Bianchi, primario del reparto. Era apparso, come sempre, in silenzio, come se si fosse avvicinato alle spalle per cogliere qualcuno in fallo. Bassino, con i capelli radi e unespressione perennemente contrariata, teneva il libro tra due dita, come se fosse sporco.
“Pirandello?” Sogghignò. “Nobile, certo. Ma tu, Rossi, non sei nel salotto di una contessa. Sei in un ospedale. Qui si lavora, non si sogna. O credi che ti paghiamo per fantasticare?”
Caterina si alzò lentamente. Niente paura. Solo rabbia, quella vecchia, familiare, accumulata negli anni.
“Primo, mi pagate così poco che non mi basta neanche per il pane. Secondo, ho già finito tutto. Le stanze sono pulite, i pazienti sistemati. Ho diritto a una pausa, no?”
“Ah, ecco!” La sua voce si alzò. “Ora pure ti permetti di rispondere? Ancora una parola e ti butto fuori così in fretta che non avrai neanche il tempo di ricordarti di questo posto!”
In quel momento la porta si aprì. Entrò Sofia, lamica e collega di Caterina. Con unocchiata capì tutto.
“Cate, presto, in stanza sei! Il nonno sta male, ha bisogno di te!”
La afferrò per il braccio, la trascinò fuori e, con falsa gentilezza, disse al primario: “Scusi, dottor Bianchi, sistemiamo subito!”
Una volta lontane, Sofia sospirò.
“Ma sei impazzita? Perché gli rispondi? Ti distruggerà! Sai che è capace di tutto pur di tenersi il potere. Stai zitta, ti prego!”
“Non posso stare zitta quando vedo calpestare qualcuno,” rispose Caterina, fissando il pavimento. “Lui non è un medico. È un carceriere.”
“Le tue parole non cambieranno nulla. Ma a te faranno solo male. Sii prudente.”
Prudenza. Caterina sorrise amaramente. Per lei quella parola non significava più niente. Da quando aveva quindici anni viveva secondo unaltra legge: quella di agire, rischiare, lottare. Chiuse gli occhi e, per un attimo, uscì dal corridoio dellospedale davanti a lei apparve la casa della sua infanzia.
Luce del sole che entrava nel salotto. Le risate di suo padre forte, sicuro, di successo. La prendeva in braccio, le regalava una bambola di porcellana con i capelli di seta. Quel dono era il simbolo di un mondo pieno damore, stabile, dove tutto sembrava eterno.
Ma quel mondo crollò in una sera. Suo padre fu picchiato nel palazzo non per rubare, ma come avvertimento. Concorrenti. I medici gli salvarono la vita, ma una lesione alla spina dorsale lo condannò alla sedia a rotelle. Da uomo allegro diventò una furia, riversando il suo dolore su chi gli stava vicino.
Sua madre, Maria, non resse il peso. Dopo la morte del marito, un infarto la colpì i medici parlarono di esaurimento. Caterina, a quindici anni, rimase sola. Vendette la bambola, poi tutto ciò che aveva valore, per comprare medicine. Poi iniziò a lavorare prima come addetta alle pulizie, poi come infermiera.
Vide pazienti soffrire, medici passare oltre indifferenti, vite umane svalutate. E allora, ricordando il dolore dei suoi genitori, giurò: sarebbe diventata un medico. Una vera. Che ascolta, che vede, che non si volta dallaltra parte. Non come Paolo Bianchi. Quei ricordi erano la sua forza, la sua arma. Non le permettevano di crollare.
Verso le due di notte, quando lospedale era immerso nel silenzio, Caterina si addormentò di nuovo con il libro in grembo. Fu svegliata da voci e rumori al pronto soccorso. Si alzò di scatto e corse.
Sulla barella cera un uomo vestiti strappati, viso sporco, capelli pieni di fango. Puzzava di sudore e alcol. Si teneva il fianco destro, e tra le diche colava sangue.
“Che è successo?” chiese Caterina, avvicinandosi.
“Coltello al fianco,” rantolò. “Per un portafoglio vuoto”
Il dottor Bianchi uscì dal suo ufficio, attirato dal trambusto. Guardò luomo con disgusto.
“E questo chi sarebbe? Uno straccione della stazione?”
“Ha una ferita da coltello,” disse linfermiera di turno. “Serve un intervento urgente.”
Il primario non si avvicinò nemmeno. Lo osservò e scosse la testa.
“E io dovrei sporcare la sala operatoria per un barbone? È sporco, ubriaco, senza documenti, senza assicurazione. Chi pagherà? Non sprecherò risorse per i rifiuti della società.”
“Ma può morire!” esclamò linfermiera più giovane.
Il dottor Bianchi sorrise freddamente.
“Che muoia. È selezione naturale. Gente così sceglie la sua fine. Chiamate la polizia. Io non spreco tempo con gli scarti.”
Si girò e se ne andò. Il personale rimase paralizzato. Luomo sulla barella gemeva, sbiancava, perdeva i sensi. Il tempo scorreva.
E poi, nella testa di Caterina, qualcosa si spezzò. Era tutto troppo familiare. Suo padre. Lambulanza che non arrivava. Il medico indifferente. “Aspettiamo, finiamo il caffè.” Quel pensiero esplose come un fuoco. Ogni cautela, ogni paura svaniti. Restava solo la rabbia.
Aveva in mano una padella smaltata vuota, pulita, ancora con lodore di candeggina. In quel momento non sembrava un oggetto comune, ma qualcosa di pesante, quasi unarma. Sofia le si avvicinò:
“Cate, fermati! Pensa a tua madre!”
Ma Caterina non sentiva più. Si voltò e si diresse a passi rapidi verso lufficio del primario. Aprì la porta senza bussare. Il dottor Bianchi era seduto alla scrivania, sfogliando una rivista.
“Lei non è un medico!” urlò, con una voce così tagliente che il primario sussultò, quasi facendo cadere la rivista. “Ha fatto un giuramento! Il giuramento di Ippocrate aiutare chiunque ne abbia bisogno! Non importa se è ricco o povero, pulito o sporco! Lei è solo un assassino per negligenza!”
Il primario si alzò lentamente. La sua faccia era deformata dalla rabbia.
“Ma chi ti credi di essere per darmi ordini





