Lo amo, ma non voglio che il bambino cresca senza padre

Lo amo, ma non voglio che suo figlio cresca senza un padre.

Ciao. Mi chiamo Beatrice, e in questo momento mi trovo a un bivio che non riguarda solo la mia vita, ma anche quella di altre due persone. Ho ventinove anni, vivo a Bologna, lavoro in uno studio legale piccolo ma affermato, ho amici, una famiglia eppure il mio cuore appartiene a un uomo con cui non posso vivere apertamente la nostra storia. E non è solo una questione di amore tormentato. È un tormento che dura da un anno.

Con Marco siamo stati insieme per tre anni. Giovani, innamorati, spensierati. Litigavamo, ci riappacificavamo, facevamo progetti. Credevo fosse luomo della mia vita, e lui diceva di non respirare senza di me. Eravamo felici, fino al giorno in cui discutemmo per una sciocchezza. Entrambi orgogliosi, ci allontanammo senza fare il primo passo. Eravamo troppo testardi e troppo giovani.

Passarono mesi. Mi mancava. Guardavo il telefono, sperando in un messaggio. Non scrissi, non chiamaitroppo orgoglio. Poi scoprii che frequentava unaltra. Una ragazza dellufficio accanto, timida, riservata e dopo pochi mesi, incinta. Mi sentii morire. Ricordo che rimasi alla finestra, con un vuoto nel petto, come se un vento gelido mi avesse svuotata il cuore.

Quando nacque sua figlia, trovai il coraggio di chiamarlosolo per congratularmi. Lui tacque un attimo, poi disse:
«Non immagini quanto sia felice di sentirti. Ci vediamo?»

Non so perché accettai. Volevo solo guardarlo negli occhi. Quellincontro fu silenzioso. Ci osservammo, e in quel silenzio cera tuttoamore, dolore, rimpianto. Mi tenne la mano mentre piangevo.

Da allora ci incontrammo di nascosto. Senza regolarità, con cautela, come se avessimo paura di noi stessi. Per un anno fu cosìmai oltre certi limiti. Non potevo. Bastava pensare a sua figlia, alla bimba che a casa lo aspettava con gli occhi di sua madre, e mi sentivo spezzare.

Lui si lamentava spesso. Diceva che a casa era insopportabile. Che con la madre di sua figlia non condivideva più nulla, se non la piccola. Che non amava più. Che sognava me. E più volte mi chiese:
«E se lasciassi tutto? Se tornassi da te? Mi accoglieresti?»

Io tacevo. Perché non sapevo cosa rispondere. Perché, per quanto lo amassi, vedevo non solo luomo, ma il padre. E la bambinaSofia, che ancora non parla ma sa già come sorride il suo papà, come profuma la sua giacca, come la stringe prima di dormire.

Come posso distruggerlo? Come posso essere colei che priva un bambino di suo padre?

Forse non si amano. Forse restano insieme solo per la figlia. Ma è davvero sbagliato? Quante famiglie vivono cosìalcune ritrovano lamore, altre imparano a convivere. Se io distruggessi questa famiglia, sarei felice sapendo che Sofia cresce senza suo padre?

Ho paura. Soffro. Sogno lui, mi addormento con il suo nome sulle labbra, non riesco a guardare altri uomini. Non voglio nessuno, solo lui. È laria che respiro. Ma ho il diritto a questa felicità?

A volte penso: e se al posto di Sofia ci fossi io? Se mio padre fosse stato portato via da unaltra donna, come mi sarei sentita? Ricordo troppo bene comè crescere senza un padre. Non voglio che qualcun altro lo subisca.

Marco aspetta una risposta. Parla sempre più spesso di lasciare quella donna. Mi supplica:
«Non stare zitta. Dimmi cosa vuoi. Sono pronto a tutto. Basta che tu parli»

E io non so cosa dire.

La ragione mi dice una cosalasciare tutto comè. Non interferire, non distruggere, essere forte. Il cuore, invece, grida il suo nome, mi implora di non lasciarlo andare.

Se leggete queste parole, se avete vissuto questa situazionecosa devo fare? Si può costruire la propria felicità senza distruggere quella degli altri? O ogni gioia porta inevitabilmente dolore a qualcuno?

Lo amo. Ma non voglio che sua figlia cresca senza padre.
E per la prima volta nella vita, ho davvero paura.

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