Lo fai per me? Non serve. Spero, ma tu non potrai amarmi.

Lo fai per tuo figlio? Non serve. Io mi illuderò, e tu non riuscirai ad amarmi.

Uscendo dall’ospedale, Ginevra si scontrò sulla porta con un uomo.

«Mi scusi,» disse lui, fissandola per un attimo. Poi, lo sguardo si fece freddo, sprezzante. L’uomo distolse gli occhi da lei, come se avesse già dimenticato la sua esistenza.

Quanti sguardi così aveva ricevuto nella vita. Le ragazze magre e longilinee attiravano un’attenzione diversa. Gli uomini, davanti a una bellezza slanciata, non erano mai indifferenti: i loro occhi si accendevano di desiderio. E a lei, Ginevra, faceva male quell’ingiustizia. Era forse colpa sua se era nata così?

Da piccola, tutti ammiravano le sue guance paffute, le gambette tonde, il sedere rotondo. A scuola, durante le lezioni di ginnastica, veniva sempre messa in prima fila quando le ragazze si allineavano per statura. La chiamavano “cicciona”, “grossa”, “maialina Peppa” come nel cartone animato, o “zucca”. E quelle erano solo le offese più lievi. Le altre… preferiva non ricordarle. I bambini potevano essere crudeli. Gli insegnanti vedevano, ma non facevano nulla per fermarli.

Ginevra aveva provato mille diete, ma la fame era sempre più forte. I chili persi tornavano in fretta. Aveva un bel viso, ma la sua forma rovinava tutto.

Sognava di diventare maestra, ma aveva rinunciato per paura che i suoi studenti la prendessero in giro. Dopo il liceo, si era iscritta a un corso per infermieri. Quando le persone soffrono, non badano all’aspetto di chi le cura. L’importante è alleviare il dolore.

Nella sua classe non c’erano ragazzi, e le ragazze erano troppo prese dai propri fidanzati, dai primi matrimoni. Lei, invece, restava sempre sola. Durante le lezioni, le compagne le chiedevano di sedersi davanti per nascondersi dietro la sua schiena larga, così il professore non le interrogava.

Ammirava con malinconia i bei vestiti nelle vetrine dei negozi. Non sarebbero mai stati fatti per lei. Indossava vestiti larghi, semplici, per nascondere i suoi difetti. Studiava con impegno, sapeva fare le iniezioni con delicatezza. I pazienti anziani la adoravano.

Una volta, era uscita con le amiche al pattinaggio sul ghiaccio. Un gruppo di ragazzi l’aveva derisa: «Guarda, di corsa verso il macello!» Ginevra aveva trattenuto le lacrime mentre alle sue spalle scoppiavano in risate.

La mamma aveva provato a presentarle i figli delle sue amiche. Aveva persino avuto un incontro o due. Un ragazzo, appena l’aveva vista, aveva fatto finta di non aspettare nessuno e si era voltato con disprezzo. Un altro aveva subito cercato di toccarla. Lei l’aveva respinto, e lui era caduto in una pozzanghera. «Che ti credi? Ti stavo facendo un favore. Chi ti vorrebbe, così?» le aveva urlato. Le lacrime le bruciavano in gola. Da allora, aveva smesso di cercare. Meglio stare sola.

Su Facebook, aveva messo come immagine del profilo Fiona di *Shrek*. Quando un ragazzo le aveva chiesto nei commenti come fosse davvero, aveva risposto: «Sono uguale, ma non verde». Lui l’aveva presa come uno scherzo. «Sicuramente sei stanca dei corteggiatori e li respingi con questa foto,» aveva scritto, proponendo di incontrarsi. Lei aveva interrotto la conversazione.

Un giorno, in corridoio, un bambino di sei anni le era corso addosso.

«Dove corri? Qui ci sono persone malate, non si fa rumore!» disse Ginevra, fermandolo per un braccio.

«Volevo scivolare sul linoleum!» ammise il bimbo.

«Con chi sei venuto?»

«Con papà, dalla nonna. Dov’è il bagno?»

«Vieni, ti accompagno.» Lo condusse in fondo al corridoio. «Ce la fai da solo?»

Il bambino la guardò con sufficienza, ma quella volta Ginevra non si offese. Poco dopo, sentì lo sciacquone e il bimbo riapparve.

«Adesso mostrami dove sta tua nonna.»

Il bimbo sospirò e si trascinò accanto a lei. Si fermò davanti a una porta, assumendo un’aria seria. Ginevra trattenne un sorriso.

«Questa, credo,» disse indicando una porta con il numero quattro.

«Credi? Sei scappato senza guardare il numero? O forse non sai contare?» dubitò Ginevra, perché quella era una stanza per uomini.

«Io so tutto! Non sono piccolo! So anche le lettere! È quella!» mostrò la porta col numero cinque.

«Ah, furbo!» Ginevra finse di arrabbiarsi. Il bimbo rise allegro. «Come ti chiami?»

«Lorenzo!» rispose, ma la porta si aprì e apparve un uomo alto, dall’aspetto piacevole.

Lanciò un’occhiata severa al bambino. «Lorenzo, cosa ci fai qui?» Poi notò Ginevra. Con un solo sguardo, la valutò e perse subito interesse. «Ha combinato guai?»

Quante volte aveva visto quel disprezzo negli occhi degli uomini.

«No, è stato bravo. Non sgridarlo.» Se ne andò senza aggiungere altro.

«Vieni, saluta la nonna. È ora di andare.» Lo sentì dire alle sue spalle.

Il giorno dopo, Lorenzo e suo padre tornarono in ospedale. L’uomo la superò senza degnarla di uno sguardo. Ginevra gli fece una linguaccia alle spalle. Lorenzo si voltò, rise e le fece un pollice alzato. Lei gli sorrise e gli agitò la mano.

Dopo la pausa pranzo, entrò nella stanza numero cinque.

«Oggi ha un buon colorito, signora Anna. È venuto suo nipote?»

«L’ha visto? È un bambino meraviglioso, vero? Vorrei vivere abbastanza per vederlo crescere.»

«Non è ancora il momento di morire. Avrà anche dei bisnipoti da accudire!»

«Dio volesse. Mi preoccupo per lui. Cresce senza una madre.»

«Sua madre…»

«No, non è morta. È scappata, abbandonando suo figlio.»

«Ha detto “suo”…» Ginevra sussultò.

«Lorenzo non è mio nipote di sangue. Ma per noi è come se lo fosse. Mio figlio sposò una ragazza bellissima. Dopo il matrimonio, confessò di avere un figlio. Si può costruire una famiglia iniziando con una menzogna? Mio marito ebbe quasi un infarto. E ora sono qui io.»

Due anni prima, la madre di Lorenzo aveva ricevuto un’offerta di lavoro all’estero. Era una modella. Il bambino era un ostacolo. Le donne che suo figlio frequentava erano tutte così: belle, egoiste. Lorenzo non le accettava.

Ginevra rimase scossa dal racconto. Quando tornò per un’iniezione, trovò Anna che piangeva.

«Signora Anna, non si deve agitare!»

«Non è niente. Guardi.» Le mostrò un disegno. C’era un bambino che teneva per mano una mamma e un papà. Non c’era dubbio: Lorenzo e i suoi genitori.

«Mio nipote cerca una mamma. Credo abbia disegnato lei, Ginevra.»

«No, ha disegnato sua madre.»

«Non la ricorda più. Era magra. Qui, invece, c’è una mamma robusta, persino più alta del papà. È lei. Guardi bene.»
Ginevra notò subito la differGinevra sentì un nodo in gola, ma quando Lorenzo tornò la settimana dopo con un mazzo di fiori e le chiese: “Vuoi essere la mia mamma?”, finalmente capì che per qualcuno, anche lei era perfetta così com’era.

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