Sai, Giorgio, lei è tua sorella, e io sono tua moglie. Non posso più sopportare di vederti portare via tutto ai nostri figli per darlo a Elena.
Giorgio sapeva che sua moglie aveva ragione, ma non poteva fare altrimenti. Quando sua sorella aveva bisogno, lui era sempre il primo a tendere la mano, come aveva fatto fin da bambini.
“Giorgino, passami un chiodo!” gridava la piccola Elena, di sette anni, in piedi su uno sgabello vicino alla vecchia rimessa.
“E a che ti serve?” domandava sospettoso il fratello di nove anni.
“Devo fare la cuccia per il gatto.”
“Di nuovo?! Lultima volta che ti ho aiutato, il gatto non ci è mai entrato, e poi ti sei offesa per una settimana.”
“Questa volta andrà meglio, perché la rivestirò di stoffa.”
Crescendo, erano come due germogli della stessa radice. La madre lavorava in fabbrica, e il padre se nera andato troppo presto. Giorgio, seppur giovane, aveva assunto il ruolo delluomo di casa. Imparò a riparare le biciclette, cambiare i rubinetti, riscaldare la cena.
“Giorgino, credi che diventerò unattrice da grande?”
“Lo sei già. Ieri quando sei caduta e hai cominciato a piangere, e poi hai mangiato la marmellata sorridendo quello era teatro puro.”
Il tempo passò. Giorgio si diplomò come elettricista, trovò lavoro in città e sposò Tiziana.
Elena si iscrisse allistituto magistrale, visse in un dormitorio e andava a trovare il fratello ogni volta che poteva.
Tiziana sospirava:
“Giorgio, tua sorella è ormai grande. Non è ora che se la cavi da sola?”
“Non è un bagaglio da lasciare e dimenticare,” rispondeva lui piano. “È mia sorella.”
Dopo gli studi, Elena andò a insegnare in un paesino di campagna, assegnata dal Ministero. Aveva una stanza gelida in un dormitorio, una stufa vecchia e uno stipendio misero. Giorgio la raggiungeva ogni festa:
“Te lho detto, compra un termoventilatore.”
“Non ho soldi, devo comprare i libri per i bambini.”
“Te lho portato io. E anche un cappotto.”
“Tiziana non si arrabbierà?”
“Sì, ma almeno non gelerai.”
Un giorno, Elena lo chiamò in lacrime:
“Fratello aspetto un bambino.”
“Allora congratulazioni. Ma perché piangi?”
“Lui se nè andato. Ha detto di non essere pronto.”
“Peggio per lui. Resisti. Arrivo subito.”
“No, non serve me la caverò”
“Non si discute.”
Arrivò il giorno dopo, con la spesa, i soldi, una coperta e vestitini per il bambino.
“Tiziana è furiosa,” disse, seduto al tavolo della cucina.
“Non voglio che litighiate per colpa mia”
“Ascolta. Mia moglie è una brava donna, ma non è lei che mi ha cresciuto.”
“Capisci che non è più come comprarmi un telefono che ho perso. Questa volta è serio”
“Proprio per questo sono qui.”
Giorgio rimase al suo fianco nel giorno più importante. Teneva in braccio il nipote come un tesoro.
“Come lo chiamerai?”
“Matteo.”
“Bel nome. Crescerà e ti proteggerà come ho fatto io.”
Dopo la nascita, aiutava spesso: soldi per il latte, riparazioni alla stanza, un passeggino. Tiziana intanto si allontanava in silenzio. Una sera disse:
“Giorgio, non mi oppongo ad aiutare Elena. Ma quando ogni volta prendi dal nostro bilancio familiare non più sostegno. È un danno per noi.”
“Capisco. Ma non posso fare altrimenti.”
“E io non posso vivere sentendomi sempre seconda.”
Giorgio tacque. Amava sua sorella e sua moglie allo stesso modo.
Col tempo, Elena si sistemò. Aprì un doposcuola per bambini, era stimata e amata nel paese. Suo figlio cresceva educato e tranquillo.
Giorgio andava a trovarla più raramente, ma ogni volta portava qualcosa:
“Matteo, guarda cosa ti ha portato lo zio un costruzioni!”
“Mamma dice che tu e zia Tiziana siete anziani, avete i vostri problemi, e non dobbiamo chiedere troppo.”
“Non sono così vecchio come pensa tua madre!”
A cinquantanni, Giorgio si ammalò gravemente. Elena arrivò in città con barattoli di marmellata, polpette fatte in casa e il figlio.
“Tiziana, posso sistemare? Giorgio lascia sempre tutto in disordine,” sorrise Elena.
“Fa pure. E metti anche le polpette. Senza di te non mangia nulla.”
“Non è vero!” borbottò lui dal divano.
“Certo che no. Per questo in una settimana hai perso peso”
Risero come bambini. E per la prima volta, Tiziana guardò Elena non con gelosia, ma con comprensione.
“Sai,” sussurrò quando Elena andò in cucina, “avevi ragione. È una brava persona. Credevo che dovessi scegliere tra noi.”
“Non ho mai scelto. Nel mio cuore cè posto per entrambe.”
Un anno dopo, Tiziana e Giorgio diventarono nonni.
Matteo andò alluniversità. Elena rimase maestra in paese, chiamando il fratello ogni domenica.
“Come stai?”
“Tutto bene. Tiziana ricama, io guardo la TV. E tu?”
“Matteo è in vacanza, andiamo a funghi insieme.”
“Bene che sia cresciuto onesto e buono.”
“Perché ha avuto te come esempio.”
Da anziani, seduti insieme sulla panchina davanti a casa, Elena disse:
“Sai, Giorgio, penso che Dio mi abbia dato proprio te come fratello. Senza di te, non ce lavrei fatta.”
“E io senza di te sarei un altro. Sei sempre stata qui, dallinfanzia a oggi. Non si chiama aiutare. Si chiama essere famiglia.”
La lezione? Lamore non si divide, si moltiplica. E la famiglia non è chi ti chiede di scegliere, ma chi trova il modo di stare insieme.






