L’ombra del furto: segreti familiari che hanno distrutto un matrimonio

L’ombra del furto: come i segreti di famiglia distrussero un matrimonio

Nell’appartamento buio alla periferia di un paesino costiero chiamato Ventoso, dove il vento salmastro del mare si insinuava tra le fessure delle vecchie finestre, Elisabetta stava davanti al frigorifero vuoto, stringendosi le tempie. Il cibo spariva a una velocità allarmante, come se si fosse dissolto nell’aria. Solo il giorno prima aveva preparato la cena, e ora—neppure una briciola. Suo marito, Alessandro, aveva mangiato tutto di nuovo, pensava lei, e quell’idea le rodeva la mente come la marea fredda che batte sulla riva.

Le loro conversazioni erano come lottare contro un’ombra—finite sempre in urla e accuse reciproche. La sua disoccupazione, ormai al terzo mese, trasformava la loro vita in un incubo. Elisabetta lavorava fino allo sforamento, solo per comprare cibo che svaniva come per magia. Aveva imparato a bere caffè amaro senza zucchero e a masticare pane secco, perché dopo il turno non aveva più la forza di cucinare. Alessandro, invece, sembrava vivere in un suo mondo, dove il cibo appariva da solo e sua moglie doveva sopportare tutto in silenzio.

“Domani vado dallo zio in campagna, ad aiutare con dei lavori,” disse Alessandro dalla camera da letto, senza staccare gli occhi dalla televisione.

A Elisabetta non importava più. La stanchezza e la febbre le appesantivano il corpo, spingendola verso il letto. Al mattino, dopo l’aumento della temperatura, decise di restare a casa. Prese delle pillole e cadde in un sonno pesante, sperando in un po’ di pace.

Ma la pace fu interrotta da un rumore strano in cucina. Qualcuno sbatté le pentole, aprì lo sportello del frigorifero, poi iniziò a cantare—una melodia sfrontata e spensierata. Elisabetta, barcollando, si trascinò verso il suono. In cucina, come se fosse a casa sua, c’era la sorella di Alessandro, Valeria—una donna che Elisabetta cercava sempre di evitare. Valeria era convinta che suo fratello dovesse mantenere non solo la sua famiglia, ma anche lei e i suoi figli. Alessandro le dava spesso dei soldi, strappandoli dal magro bilancio domestico, ed Elisabetta aveva sempre sopportato, stringendo i denti. E ora eccola lì, Valeria, che rovistava nel loro frigorifero, mettendo il cibo in contenitori di plastica.

“Ciao,” disse Elisabetta, cercando di trattenere la rabbia.

“Oh! E tu che ci fai qui?” Valeria trasalì, quasi facendo cadere un barattolo di sottaceti.

“Sono malata. E tu, a quanto pare, ti comporti come se fossi a casa tua?”

“Alessandro mi ha dato le chiavi lui stesso,” replicò Valeria, senza nemmeno arrossire.

“Allora non è lui ad avere un appetito da lupo, ma te ad avere le mani troppo leste,” la voce di Elisabetta tremava di rabbia.

“Lui è mio fratello! Ho il diritto di prendere del cibo per i miei figli!” Valeria si raddrizzò, come per difendersi.

“Tuo fratello non lavora, e io dovrei sfamare due famiglie? E senza nemmeno saperlo?” Elisabetta sentiva un nodo alla gola.

“Ti dispiace forse per un pezzo di formaggio? Sono sola, è difficile per me!” Valeria alzò la voce.

“Ridammi le chiavi. Subito. O chiamo i carabinieri. Questa casa è mia, e tuo fratello qui non conta niente,” Elisabetta fece un passo avanti, gli occhi in fiamme.

“Chiamare i carabinieri per una stupidaggine? Che meschina che sei!” Valeria gettò le chiavi sul tavolo. “Lo dirò tutto ad Alessandro, si pentirà di esser stato con una come te!”

“Lui si pentirà di aver coperto le tue incursioni,” rispose Elisabetta, mentre le lacrime le rigavano il viso.

Crollò su una sedia, sconvolta. Per tutto quel tempo l’avevano ingannata, facendola sentire una stupida. Nessuno la crederebbe se raccontasse che la cognata le saccheggiava il frigorifero, lasciando solo briciole, e che Alessandro copriva tutto in silenzio, dando la colpa al suo “appetito”. Ma la cosa peggiore era rendersi conto che lui lo sapeva e aveva taciuto, tradendo la sua fiducia.

Elisabetta ricordò la suocera—una donna che senza vergogna prendeva tutto ciò che le piaceva, senza chiedere. La mela non cade lontano dall’albero, e Alessandro con Valeria avevano ereditato la stessa sfacciataggine. Il cuore le si strisciava dal dolore, ma la decisione arrivò da sé. Con le mani tremanti, compose il numero del marito.

“Chiedo il divorzio,” disse, senza lasciargli parlare.

“Aspetta, vengo, parliamo,” balbettò Alessandro.

“I discorsi sono finiti. Ho capito tutto.”

“Te ne pentirai, tornerai da me!” urlò lui.

Ma Elisabetta non lo ascoltava più. Alessandro era diventato per lei un estraneo—un’ombra dissolta nel vento fredde di Ventoso. Le dispiaceva solo per gli anni spesi con un uomo che non aveva mai apprezzato né lei, né la loro famiglia. Il divorzio non era la fine, ma la libertà—un passo verso una vita nuova, dove nessuno avrebbe osato rubarle la pace.

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