**L’ultima lettera**
Martina non conosceva suo padre. Quando crebbe e chiese alla madre di lui, quella rispose solo:
“Non sei felice con me?”
Isabella amava sua figlia, anche se non la viziava. Come non amare una ragazzina tranquilla dagli occhi grandi? Non dava preoccupazioni, non marinava la scuola, studiava bene e obbediva.
Era una ragazza normale, senza niente di speciale. Non tutte possono essere belle. Mai nessun adulto le aveva detto che era graziosa o adorabile. “È l’immagine di sua madre!”, dicevano invece.
La madre non indossava profumi costosi, non si truccava le labbra, non portava tacchi. “Quali tacchi? Dopo una giornata di lavoro ai telai, i piedi fanno male!”, diceva. Lavorava in una fabbrica tessile. Nei reparti c’era un rumore assordante, così aveva imparato a parlare a voce alta, quasi gridando.
Dopo la terza media, la madre mandò Martina in campagna per l’estate da un’amica. Probabilmente aveva una vita sentimentale da vivere. La figlia non doveva intralciare, e non era il caso che lo sapesse.
“Come hai conosciuto mia madre?” chiese Martina alla zia Giusy. “Lei è di città, e tu vivi qui.”
“Anche tua madre è di campagna! Siamo amiche da quando eravamo in fasce. Poi lei se ne andò in città, trovò lavoro in fabbrica. Non te l’ha mai detto? Si vergognava delle sue origini.” Zia Giusy sospirò. “Io rimasi, mi sposai subito dopo la scuola. Dio non mi diede figli, mio marito partì per lavorare e sparì. Così vivo sola. Almeno tua madre ha avuto una figlia, mentre qui di uomini perbene neanche l’ombra. Tutti ubriaconi.”
“E mio padre? Sai qualcosa di lui?”
“Certo che lo so! In fabbrica lavorano solo donne. Dopo il turno, non c’è tempo per l’amore. A tua madre, come lavoratrice modello, diedero un appartamento. Non a tutti capita. E gli anni passano.”
“Arrivò un uomo, un tecnico addetto alle macchine. Non un gran bell’uomo, ma agli uomini la bellezza non serve. In mezzo a tante donne, qualunque uomo vale. Non so come, ma lei rimase incinta di lui. E per poco, perché quasi non era più in tempo.”
“Isabella non era una bellezza. Non aveva una fila di pretendenti. Quando scoprì che sarebbe stata una femmina, fu ancora più felice. Una bambina senza padre è più facile da crescere. L’ha avuta per sé. Si chiama così, no?” Zia Giusy sospirò di nuovo.
Con la zia Giusy era facile parlare, non come con la madre. E la zia le insegnò tante cose di casa. Che altro fare in campagna? Arrivarono tanti bambini, ma erano tutti piccoli, non della sua età.
Alla fine di luglio, arrivò un ragazzo dal vicino. Quando Martina lo vide, il cuore le cantò nel petto. Lui aiutava il nonno nell’orto, portava acqua dal fiume, e lei lo osservava dalla finestra.
Un giorno lo vide andare al fiume, così afferrò un telo e lo seguì. Solo che per strada si ricordò di non aver indossato il costume, ma ormai… Si sedè sull’erba della riva e lo guardò tuffarsi e riemergere sospingendo l’acqua. Anche lui la notò.
“Che fai lì? L’acqua è calda!” le gridò.
Lei si vergognò, stava per andarsene. Ma lui uscì dall’acqua e le porse un giglio, profumato di fiume e di alghe.
Martina gli diede il suo telo in cambio. Iniziarono a parlare. Andrea era stato mandato in campagna dai genitori, che stavano divorziando e litigavano per i beni.
“Cosa fai domani?” le chiese.
“Niente, aiuterò zia Giusy in casa. Perché?” E il cuore le batteva forte. Non aveva mai parlato così con un ragazzo.
“Andiamo nel bosco con me. Ci sono già i funghi, e mio nonno ha male al piede.”
“Andiamo.” rispose, arrossendo.
“Ma presto, con la rugiada. Ti fischio io.” disse Andrea.
Tornarono a casa insieme. Lui batteva con un bastoncino le ortiche lungo la staccionata, mentre lei portava il telo bagnato sulla spalla, e le sembrava quasi che lui la abbracciasse.
Martina si svegliò presto, quando appena albeggiava. Guardava continuamente la sveglia. Ma le lancette non avanzavano.
“Perché ti agiti?” chiese zia Giusy, sbadigliando. “Dormi, è ancora presto.”
“Vado nel bosco con Andrea a cercare funghi, ho paura di addormentarmi.” confessò Martina.
La zia si alzò e andò in cantina a prendere degli stivali di gomma e vestiti pesanti.
“Non li metto! Sembrerò uno spaventapasseri.” protestò Martina.
“Mettili, sciocca. Ci sono serpenti, zanzare e zecche. E raccogli i capelli sotto il foulard.”
Martina si infilò malvolentieri i pantaloni larghi e la camicia, si guardò allo specchio e rabbrividì. Proprio uno spaventapasseri. E dal giardino arrivò un fischio. Non c’era tempo per cambiarsi. Afferrò un cesto e corse fuori. Andrea la guardò soddisfatto. Anche lui era vestito così.
Nel bosco, Andrea raccoglieva funghi, mentre Martina non ne vedeva uno.
“Li hai mai raccolti prima?” chiese lui.
Martina scosse la testa colpevole.
“Capisco.” sospirò Andrea, e le insegnò come trovarli, quali erano buoni e quali mai raccogliere.
Quando vedeva un fungo, glielo mostrava, poi andava avanti. Presto anche Martina iniziò a trovarne.
“Brava!” la lodò zia Giusy per il cesto pieno. “Farò una zuppa, e ne seccherò per te e tua madre. D’inverno li mangerete e ricorderete l’estate.”
Dal giardino arrivò di nuovo un fischio.
“Corri. Il tuo innamorato ti chiama per il bagno.”
Martina arrossì e andò a prendere il costume.
Così passarono tutto il mese insieme, nel bosco, al fiume, al negozio. Martina si innamorò subito, appena lo vide. Il cuore le batteva forte quando era vicino. Al minimo tocco tremava come una foglia. Di notte sognava di lui, e affrettava il mattino per vederlo prima.
Agosto volò via, e arrivò la madre.
“Cos’hai dato da mangiare a questa, Giusy? È ingrassata!” La madre scrutò Martina, ormai abbronzata e fiorita.
“Aria fresca e pane duro diventa dolce.” sorrise zia Giusy. “Guarda quanti funghi ha raccolto. Andava nel bosco. Con un amico.” aggiunse.
“Già a quest’età con i ragazzi? Non me l’aspettavo da te, Giusy.” si arrabbiò la madre. “Prepara le valigie, domani si parte.”
“È troppo presto!” pianse quasi Martina.
“Devo comprarti vestiti, quaderni. Prepara tutto.”
Martina corse in giardino, vide Andrea e gli si gettò addosso.
“È arrivata tua madre? Parti?” indovinò lui.
Martina non riusciva a parlare, soffocata dalle lacrime.
“Dimmi il tuo indirizzo, ti scriverò.” chiese Andrea.
Martina corse in casa, strappò un foglio dal quaderno e tornò.
Per strada si ricordò di non aver scritto l’Martina corse dalle lacrime agli occhi verso la casa per prendere una penna, ma trovatolo finalmente vuoto, con un sorriso sereno tra le lacrime, capì che forse il cuore aveva già scritto per lei la risposta.