– Non permetterò che lo faccia, Giuseppina! Solo attraverso il mio corpo! – urlò Giuseppina, bloccandole il passo verso la vigna.
– Fatti da parte, mamma! La scelta è fatta! Domani arriveranno i macchinari e tutto questo sarà sradicato. I documenti sono firmati – Luca tirò un sospiro pesante, evitando di guardarla negli occhi.
– Che genere di documenti? Chi ti ha dato il diritto di disporre della terra che tuo padre hai coltivato per quarant’anni? Di cui ho piegato la schiena ogni primavera? – La vecchietta strinse i pugni rugosi, i capelli argentati scossi dal vento.
– Non drammatizzare. Non sei più in età per curare la terra. E chi mangerà i tuoi cetrioli e pomodori? Alla spesa c’è tutto – Luca si avvicinò al cancello, ma sua madre gli bloccò di nuovo la strada.
– Alla spesa? – Ringhiò sprezzante Giuseppina. – Quello non è cibo, è solo chimica! Devo essere assolutamente grave, per come parli… tuo padre si girerebbe nella tomba!
La discussione sotto l’olivo secolare, carico di frutti maturi, degenerò in una lite a voce alta. Intorno si estendevano agli occhi la vite rigogliosa, le zucche che facevano capolino e l’alto cespuglio di ribes. L’aria era impregnata del profumo delle erbe aromatiche e dell’olio d’oliva appena spremono. Il cielo su Montebello era profondamente azzurro, le rare nubi fluttuavano pigramente sopra i tetti silenziosi.
Luca, alto uomo con le prime striature argentate alle tempie, sentiva dentro di sé montare l’irritazione. Era arrivato da Milano con un piano preciso: vendere la proprietà agli investitori e portare sua madre in un appartamento cittadino. La casa della sua infanzia, ormai vetusta, aveva il tetto che perdeva e sua madre, anno dopo anno, trovava sempre più difficile gestire il lavoro. Ma la vecchietta non aveva mai accolto l’idea.
– Mamma, sii ragionevole. Ne hai settantatre. Passi la giornata a coltivare questo orto, come se la tua vita dipendesse da questo.
– Ed è così – rispose Giuseppina, con voce improvvisamente gentile. – Questo è la mia vita. Che farò in quell’appartamento tuo? A guardare la televisione? Ne soffocherò.
– E come si soffoca – Luca si tolse gli occhiali e massaggiò le tempie. – Sarai con noi, vicina. Marta ha già preparato la stanza per te, ogni sua giornata chiede quando ritornerai.
– Oh, Marta è un tesoro, – sorrise Giuseppina, un’ombra di felicità le illuminò il viso. – Ma non abbandonerò mai questa casa. Ogni lembo di questa terra è la mia storia, ogni angolo ricorda nostro padre.
Luca si rassegnò. Sua madre era testarda come sempre. Discutere non serviva a nulla, ma nemmeno poteva lasciarla sola in quel posto in declino. Una casa per anziani non era nemmeno un’opzione – per lei sarebbe stato un tradimento. L’appartamento non l’allettava. Eppure, la vita rurale in quella età diventava sempre più rischiosa.
– Almeno aiutami a raccogliere l’ultimo raccolto – propose sua madre, all’improvviso. – Quest’anno l’olivo ha dato tanto. Sarebbe un peccato lasciar perdere.
Luca acconsentì, sperando che in mezzo al lavoro forse sua madre avrebbe cambiato idea. Presero dagli scantinati le ceste e la scala.
– Ti ricordi come tuo padre ti obbligasse ad annaffiare questi olivi ogni mattina? – chiese Giuseppina, avvicinandosi al campo. – Sputavi fumo e lui… e guarda, guardiamo come si sono sviluppati. Quello che ti squilibrava era il tuo dolce Santo, sai?
– Me ne ricordo – rispose Luca, facendo fatica a trattenere l’emozione. – Ma fu tanto tempo fa, mamma. Il mondo cambia.
– Il mondo cambia, ma le persone no – disse saggiamente Giuseppina, passandogli una cesta usurata. – Non dimenticarti le tue radici.
Il sole declinava lentamente all’orizzonte, tingendo il cielo di colori arancio. Lavoravano fianco a fianco, raccogliendo gli oliosi frutti. Ogni tanto Luca lanciava occhiate casuali verso sua madre, notando le sue mani chine, le rughe profonde sul viso. Ma nei suoi occhi ardeva lo stesso fuoco di quando era giovane – ostinato e inestinguibile.
– Tuo padre diceva che la terra è viva – disse Giuseppina, interrompendo il silenzio. – Percepisce e ricorda. Se tu la tratti con cura, ti ricompenserà.
– Mamma – disse Luca, posando la cesta a terra e guardando la madre con intensità – l’ho venduta non per denaro. Mi preoccupavo per te. Qui sei sola, senza aiuto, senza cure mediche. Che succederebbe se…
– Nulla mi capiterà – lo interruppe Giuseppina. – Rosa del vicino mi visita ogni giorno. E pure zia Lucia sull’altra strada. Noi siamo immortali!
– Rosa ne ha settantaquattro, e zia Lucia cammina a stento! Che aiuto sono, quelle donnine?
– Non offender le anziane! – sbottò Giuseppina. – Siamo brave! Anche ieri Rosa mi ha portato delle bellissime fragole, appena raccolte. E zia Lucia fa pizze in grado di sciogliere la natura stessa.
Luca scrollò la testa. Sua madre era immersa nel suo mondo, dove le vicine erano vitali e il giardino nutriva meglio qualsiasi negozio, dove il passato era più importante del futuro. Come spiegarle che voleva solo proteggerla? Che quando tornava a Milano non riusciva a dormire, immaginando che inciampasse su una scala ghiacciata o si rompesse una gamba mentre coltivava la terra.
– Sai, tua moglie ha chiamato oggi – disse improvvisamente Giuseppina, sistemando con cura le olive nella cesta.
– Elena? – si stupì Luca. – Perché?
– Mi chiedeva di convincerti. Dice che sei dilaniato, che lavori come pazzo. E si preoccupa.
Luca sorrise. Elena era sempre stata dalla parte della sua madre, anche quando lui le criticava.
– Ha proposto che voi due e Marta passaste l’estate da me – proseguì Giuseppina. – Dice che le bambine hanno bisogno di aria fresca e di staccare dalla tecnologia. Io ho pensato, forse è davvero migliore? Voi passate l’estate qui, e io arrivo d’inverno. Lasciare l’oceano senza controllo non è saggio.
– Questa idea te la sei inventata adesso – disse Luca, trasalendo.
– Certo che no! – protestò Giuseppina. – Chiedi a tua moglie, se non mi credi.
Finirono la raccolta quando il sole era ormai tramontato. Le ceste erano piene e Luca le portò in casa con fatica. Giuseppina si muoveva al camino, sistemando torte calde accompagnate da tazze di the antico.
– Siediti, figlio. Parliamo come si deve – lo invitò.
Il the era caldo e aromatizzato con rosmarino e menta. Le torte si scioglievano in bocca, evocando in Luca la sua infanzia, quando correndo casa dopo la scuola sapeva che sua madre lo avrebbe accolto con qualcosa di squisito.
– Capisco che hai buone intenzioni – iniziò Giuseppina, fissandolo con attenzione. – Ma, Luca, capiscimi anche tu. Ho trascorso tutta la vita qui. Tuo padre, al quale la pace delle anime, ha costruito questa casa con le sue mani. Ogni assito, ogni chiodo conserva la sua anima. Come potrei abbandonare tutto questo?
– Mamma, nessuno ti obbliga a vendere la casa. Resta qui d’estate, e in inverno… vieni a Milano – la convinse Luca.
– E la vigna? E gli olivi? Chi si prenderà cura di loro?
– Mamma – Luca le prese la mano – la vigna non è tutta la tua vita. Stessa cosa per gli olivi. Hai detto tu stessa che è l’ultimo raccolto. Forse è davvero il momento di riposare?
Giuseppina rimase in silenzio, guardando fuori dalla finestra, dove era ormai buio. Le grida dei cani a distanza sembravano riecheggiare da lunghe distanze. Conoscevano quelle notti di campagna, così familiari e intime.
– Ti ricordi, quando eri bambino avevi paura di dormire da solo? – chiese improvvisamente.
– Di che cazzo stiamo parlando? – ringhiò Luca.
– Tuo padre disse: “Lascia che il piccione impari ad essere autonomo. Non si può tenergli la zampa in continuazione”. Eppure io lo vedevo dormire e gli sedeva accanto, anche se lui non lo sapeva – rise Giuseppina. – Credi che non veda come sei cambiato? Come la città ti abbia divorato? Hai smesso di sorridermi in modo reale.
– Che vorresti dire? – Luca non capì.
– È forzato. Falso. Ti riconosco, ma non sei più tu.
Luca non rispose. Non se ne era accorto, ma le parole di sua madre avevano un fondo di verità. La vita a Milano era fatta di deadlines, riunioni, e scadenze. A casa spesso sedeva davanti al computer, mentre sua moglie metteva a letto sua figlia. Quanto tempo era trascorso, l’ultima volta che aveva camminato con Marta al parco senza pensare ai rapporti?
– Domani annullerò l’accordo – disse, improvvisamente. – Ma con una condizione: passerai l’inverno con noi. Elena sarà felice, e Marta se la riderà come mai.
– E la vigna? – chiese Giuseppina, tremante.
– Tornerai a primavera e piantiamo di nuovo. Ti aiuterò.
Giuseppina lo fissò con sguardi dubbiosi:
– E la tua carriera? Ti ricordo che sei sempre oberato.
– Prenderò un congedo. Ci tengo – disse Luca, determinato.
La mattina successiva lo svegliò il profumo di piadine appena fatte. Giuseppina si muoveva in cucina, cantilenando una vecchia canzone. Quando entrò, versava il the in tazze di ceramica antica.
– C’è una ragione per svegliarti così presto? – chiese assonnato.
– Non lo hai dimenticato che mancano le fragole da raccogliere, e le patate da sistemare – rispose Giuseppina, piena di energia. – Se vuoi finire prima di partire, dobbiamo muoverci.
Dopo la colazione uscirono insieme in giardino, accolto dal sole mattutino. Le fragole erano pronte, appese ai cespugli come gemme osannate.
– Guarda, questi fiori sono splendidi! – disse Giuseppina, orgogliosa. – Ho rimosso alcuni cespugli l’anno scorso, e quest’anno… meraviglia!
Lavorarono insieme, e Luca si accorse che gli piaceva quel ritmo contadino. Lì non c’era bisogno di guardare l’orologio, né rispondere alle chiamate, né sbrigare i ritrovi. La vita fluiva in sincronia con il sole, con il risveglio e il tramonto.
– Provala – gli offrì, consegnandogli una manciata di fragole appena raccolte. – Queste non hanno confronto con quelle del supermercato. Sono la fragola originale.
Luca ne prese una e la mise in bocca. Il dolce sapore, leggermente acido, gli richiamò in mente l’infanzia, quando col padre raccoglievano le fragole, e sua madre le faceva diventare marmellata. Gli pizzicarono gli occhi.
– Cosa sta succedendo? – chiese Giuseppina, preoccupata.
– Niente, mamma. Solo quel ricordo di quando eravamo qua a lavorare con papà.
– Era un uomo affettuoso. Forse severo, ma ti amava. Te gli ha offerto tante opportunità – l’università, l’appartamento a Milano.
– Lo so, mamma.
A mezzogiorno avevano già portato a termine diverse ceste di fragole. Giuseppina decise di imbottigliarne una parte e di conservarne un’altra.
– Dobbiamo iniziare a scavare le patate domani – stabilì. – Altrimenti chiama brutto tempo.
La sera, mentre stavano fuori sulla terrazza, Luca chiamò Elena e le raccontò la sua decisione.
– Sono felice – disse sua moglie, sincera. – È una decisione giusta, Luca. Giuseppina non sarebbe mai riuscita a vivere in città. Le mancherebbe troppa.
– Ma passerà l’inverno con noi – lo avvertì Luca.
– Certo! Marta e io abbiamo già preparato la stanza. Ho perfino comprato delle viole per la finestra, quelle che ama tanto.
Mettendo giù il telefono, Luca fissò sua madre. Seduta in una vecchia sedia, in mano aveva alcune fragole, e sembrava tranquilla, felice.
– Sai, – disse – forse non prenderò solo un periodo di sabbatico in primavera, ma anche ad agosto. Andrò con Marta e Elena a darti una mano.
– Così va bene – annuì Giuseppina. – Marta imparerà dove nasce il cibo. Forse pensa che venga solo da un supermercato.
Luca rise, prendendo sua madre per le spalle.
– Hai ragione, mamma. Perché non riesco mai a sentire.
I giorni successivi furono dedicati al lavoro in campagna. Sistemarono le patate, raccolsero gli ultimi ortaggi, prepararono conserve e marmellate. Luca sentì che il caos urbano si allontanava, che qualcosa di antico e prezioso era tornato a fargli compagnia.
– Vedi – diceva Giuseppina, mostrandogli le bottiglie piene – tutta questa proviene dalla vigna, fatta a mano. Rifiuterebbe cedere questo tesoro?
– Non lo farò, mamma. Hai ragione.
Il giorno in cui Luca doveva partire, Giuseppina si alzò molto presto. Gli aveva preparato la colazione e raccolto i regali: bottiglie con marmellata, olive conservate, la salsiccia di maiale comprata da zio Stefano il giorno prima.
– Regala a Elena e a Marta – gli disse, mettendogli i vasetti in un barattolo. – Dì che mangi bene. E a marzo ritornerò, con altre fragole in zucca.
– Va bene, mamma.
Prima che partisse, Giuseppina lo abbracciò, come faceva quando era bambino.
– Grazie, figlio. Per ascoltare una vecchia. Per aiutarmi a raccogliere il raccolto. Ero sola.
– Mamma, – gli rispose, abbracciandola forte – ti ringrazio tu. Per esserci. Per essere così…
– Così? – sorrise.
– Naturale. Come le fragole.
L’autobus lo portò una volta a Milano. Pensava a sua madre, al suo campo, all’ultimo raccolto che non fu l’ultimo. La vita proseguiva, come proseguiva la sua vigna, come proseguiva il lavoro, come proseguiva la terra a regalare frutti a coloro che le davano attenzione.
A Milano lo aspettavano Elena e Marta. E, in un paio di mesi, sarebbe arrivata sua madre, stanca di essere sola d’inverno, ma piena di progetti per la nuove semine. E Luca sapeva che prenderà un periodo di lavoro per aiutarla a piantare. Perché le radici non si possono dimenticare, né la terra su cui sei cresciuto.
L’ultimo raccolto dell’anno era finito, ma ce ne sarebbero stati tanti altri. E Luca sapeva, che da adesso in poi, ne avrebbe seguito ciascuno.