L’Ultimo Raccolto

– Non permetterò mai a te di farlo, Luca! Solo passando per il mio cadavere! – esclamò Monica Rossi, bloccandogli la strada verso l’orto.

– Mamma, muoviti! La decisione è presa. Domattina arriva la squadra del cantiere e distruggono tutto. I documenti sono firmati – Luca respirò a fondo, evitando di guardarla negli occhi.

– Che documenti? Chi ti ha dato la scusa di disfarti di questa terra che tuo padre ha coltivato per quarant’anni? Con la schiena a pezzi per me ogni primavera? – Monica strinse i pugni rugosi, le ciocche grigie sballottate dal vento.

– Non drammatizzare. Hai settantadue anni. Non puoi più passare la vita a piantare pomodori e zucche. E comunque, chi ne ha bisogno? Al supermercato trovi di tutto.
– Al supermercato? – rise sprezzante – Quella non è cibo. È solo chimica! Tuo padre si rivolterebbe nella bara sentendoti parlare così!

L’anziana e il figlio sputtanavano affermazioni sotto il pesco carnivoro del vecchio cortile, circondati da file di basilico, lattughe e un’aiuola rigogliosa di fragole. L’aria profumava di ricotta fresca e rosmarino, mentre il cielo su Casale di Cervino si tingeva di viola per il tramonto.

Luca, uomo attempato con i primi capelli grigi, sentiva montare l’ansia. Era tornato da Roma con un piano preciso: vendere l’eredità al costruttore e trasferire la madre in una casa a due passi dalla metro. La villa panciuta, incastonata tra ulivi e un pozzo asciutto, era diventata un incubo: tegole rotte, tramezzi che crollavano, e una donna crudele con la pala di ferro. Ma Monica non stava neanche a sentirne parlare.

– Mamma, ragioniamo. Hai settantadue anni. Passi le giornate in questo orto come se dipendesse da lui la tua vita.
– Così è – mormorò, e il suo sguardo improvvisamente tenero sembrò rivelare un’età incalcolabile.

Luca si mise le mani tra i capelli, esausto. Aveva preparato stanze in città, cartoni con stampe floreali, un’appartamento con vista sull’Appia Ancha e una promessa: Giulia, sua figlia, avrebbe fatto un corso estivo di coding a 14 anni.

– Ti è mai passato per la testa che non puoi stare qui da sola? Che se scivoli sull’erba o ti rompi una gamba, chi ti soccorrerà?
– Chi infila il muso in casa mia? Maria e Giuseppe. Due gemelli che giocherellano coi ómini di plastica, ma se ti capita un asino per vicino?

– Mamma, Maria ha settancinque anni e Giuseppe cammina come suo nonno. Sei pazza?
– Giudico gli altri solo per il profumo. Maria ha una torta al limone che ti scioglie. E Giuseppe – oh, lui ha una voce forte che può svegliare i morti!

Luca sospirò, conscio che la madre viveva in quel paradiso fatto di vicoli, gerani in vaso e solo il rumore costante delle foglie. Come raccontarle che in autobus tremava al pensiero che sua figlia si spruzzasse troppa lacca in testa? Che la vita in città era un puzzle senza angoli?

– Però aiutami a fare l’ultimo raccolto – domandò Monica, improvvisamente tenera. – Quest’anno le fragole sono perfette, non si butta via niente.

Il figlio acconsentì, sperando che l’odore di terra smuovesse qualcosa. Presero ramazze, cestini di vimini e un secchio di legno stracolmo.

– Ricordi quando tuo padre ti faceva annaffiare le fragole ogni mattina? – rise lei, lanciandogli un sasso. – Odiava quel momento tanto da guardare fuori finestra con la mano premuta sull’orologio. Ma guarda i frutti adesso!

– Era inquieto quel vecchio – disse Luca, riconoscente per quelle parole intoccabili. – Ma adesso è tutto diverso. Il mondo corre.
– Il mondo corre, ma noi siamo sempre di qua. Non dimenticarti le radici, figlio mio.

Il sole declinava, tingendo di marrone i tetti di tegole sgualcite. Lavorarono uno accanto all’altra, immersi in un silenzio solo interrotto dal volo di una colomba. Luca guardava le sue dita nodose, i segni di vino e cicoria sugli strumenti, e pensava a quanto sua madre sembrasse una scultura di marmo.

– Tuo padre diceva sempre che la terra risponde ai suoi padroni – disse Monica, contenta. – Se le parli con rispetto, ti restituisce mille volte di più.

– Lo so – mormorò, posando il cesto. – Ma qui non c’è sanità, né cure. Se ti capita un malore…
– Mi capita un malore? – sorrise con amarezza. – Ho un’assicurazione buona, e Maria mi compra le verdure.

– Maria ha settantatre anni, non è un sollievo!
– Non insultare le brave donne! Maria mi ha portato stamattina una marmellata spalmabile. Ieri Giuseppe mi ha prestato il suo triciclo – disse, alzando le sopracciglia. – Non si è mai vista una nonna andare a fare compere su un triciclo con un sacchetto di frutta!

Luca rise. La sua madre viveva in un universo a parte, dove i vicini erano invincibili e le fragole superavano la Nutella. Ma lui voleva solo prenderla per mano e mostrarle che in città si poteva campare senza invecchiare.

– Giada mi ha telefonato oggi – disse a un tratto.
– Giada? – Luca raddrizzò la testa.
– Dice che sei stremato. Ti ha visto in videoconferenza con i capelli in disordine e le scarpette sbagliate.

– Così è? – rise. – Le ho detto di guardarci la vita in cinese.

– E mi ha chiesto di convincerti a farle passare l’estate qua. Dice che Giulia non ha mai respirato un bosco e devi correre.

– Allora inventi anche Lei?
– Chiedi pure a Giada, se non ci credi.

Quando il cielo si tinse di nero, portarono dentro i cesti stracolmi. Monica aprì una bottiglia di passata, la zuppa di pomodori, ed eccola li: Luca seduto a un tavolo di legno con i polsi sporchi di polvere e una cicoria in mano.

– Mangia, figlio mio.
Lui obbedì, sentendo in gola il gusto pulito della sua infanzia: le sere tuonanti di pioggia, la sua madre corrente con la pentola, il suo gatto Nero che si rifiutava di muoversi.

– Ho capito che hai le buone intenzioni – disse, fissandolo. – Ma non puoi capire quanto questi muri siano come un abbraccio. Quando tuo padre li ha costruiti, ha piantato anche un ficus dentro. Ora le sue radici reggono il muro del retro. Se lo butti giù, porterai via lui con te.

– Allora passiamo l’inverno qua – suggerì Luca.

– E l’orto?
– Lo guarderò io, mammina.

Monica lo guardò, stupita. Era la prima volta che la chiamava così da quando lui era adolescente.

– Sei muto?
– Pensavo solo a quando facevi gli scarpini di cioccolata – rise lui. – Ecco, non posso dimenticarmi di questo.

La madre annuì. Dietro di loro, i lucchetti cominciavano a sbattere nell’erba, mentre una luna piena avanzava sulle tegole.

Il giorno seguente, Luca prese un pullman diretto a Roma. Monica lo accompagnò con una borsa piena di conserve: olive denocciolate, lattuga sott’olio, e una scatola di cioccolatini fatti in casa. Gli passò una lettera con il menu per l’estate: “Giulia può portare il suo telescopio!”.

– E ricorda – disse, dando un bacio sulla guancia – il pesco darà frutti grandissimi per Natale.

Nel treno, Luca si mise a guardare il telefono. Giulia gli aveva mandato un video: rideva sul gatto Nero, mangiava panini al formaggio e chiedeva di sua nonna. Per la prima volta da mesi, non sentì il peso del lavoro. Solo l’odore di cicoria, il rumore delle zucche che rotolavano a terra, e la voce di sua madre che cantava sotto la pioggia.

C’era un’altra vita là fuori. Con radici, marmellate e una donna cocciuta che non lo avrebbe mai abbandonato.

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