L’Unico

Allora, sai, c’era questa ragazza, Ginevra, che dopo il liceo non era riuscita a entrare all’università perché suo padre era malato grave e la mamma non c’era più—era morta dando alla luce lei. Suo padre l’aveva cresciuta da solo. Però a scuola Ginevra aveva studiato francese, le piaceva tantissimo, e aveva pure fatto dei corsi extra. Sperava che le sarebbe servito nella vita.

Poi un giorno iniziò a lavorare come segretaria in un’azienda edile. La prima volta che vide il suo capo, Matteo De Luca, rimase senza parole. “Mamma mia,” pensò, “che uomo bellissimo.” Poi si riprese: “Ma che sto dicendo? Lui è il mio capo, è più grande di me ed è sposato.”

Matteo aveva quarant’anni, alto, con gli occhi azzurri e una voce vellutata. Un giorno la chiamò in ufficio per darle delle istruzioni, e lei, persa nei suoi occhi, annuì senza quasi sentire. Uscita dall’ufficio, si lasciò cadere sulla sedia. “No, così non va. Lui è sposato, e dicono tutti che adora sua moglie, Luisa.”

E infatti, Matteo non vedeva nessuna oltre Luisa. Non avevano figli, ma si amavano tantissimo. Le colleghe chiacchieravano: “Ma cosa ci trova in quella donnina insignificante? Non è nemmeno bella, si veste male, e non gli ha dato figli.” Eppure, per lui Luisa era tutto.

Ginevra ascoltava e intanto lo amava in silenzio. Sognava che un giorno lui la notasse e capisse quanto lo amava. “Staremo insieme, gli darò dei figli. Non voglio distruggere la sua famiglia, ma potrei avere un bambino da lui… Dio, quanto lo amo!”

Però Matteo non si accorgeva di nulla. La trattava bene, come una brava dipendente. Una volta le regalò dei fiori per il suo compleanno, e lei fu al settimo cielo.

Passarono vent’anni. Un giorno, Ginevra lo incontrò per strada e quasi non lo riconobbe: era ingrigito, camminava trascinando i piedi. Il cuore le batteva forte, sperava che la riconoscesse, ma lui passò oltre senza vederla. Una vecchietta le disse: “Da quando ha perso Luisa, due anni fa, si è lasciato andare. Vive solo, beve… Ho pietà di lui.”

Ginevra ci rimase male. Tutta la giornata non fece che pensarci. Quell’uomo era stato l’unico amore della sua vita.

Poi ricordò quando, anni prima, erano andati insieme in Francia per lavoro. Lei aveva tradotto tutto perfettamente, e una sera Matteo la invitò a cena per festeggiare. Bevve troppo, e lei lo riportò in camera sua. Lui la strinse a sé, la baciò, ma la chiamò “Luisa”. Lei si sentì morire, ma non resistette. Al mattino, lui si scusò, imbarazzato. “È stato un errore, non doveva succedere.” Lei fece finta di niente, ma dentro soffriva.

Poco dopo, scoprì di aspettare un bambino. “Dio mio, sono incinta di lui!” Ma decise di non dirglielo. “Non voglio rovinare il suo matrimonio.” Così si licenziò, inventando che si sposava e si trasferiva. Matteo le diede una buonuscita e la salutò con affetto.

Suo padre, malato ma orgoglioso, la sostenne. Ginevra mise al mondo un maschietto, Leonardo, e lo crebbe da sola. Quando Leo compì diciassette anni, lei rivide Matteo per strada, distrutto dall’alcol e dalla solitudine. Non resistette: andò da lui.

La casa era un disastro, bottiglie ovunque. “Luisa è morta, non ho più motivo di vivere,” disse lui. Ginevra gli strappò il bicchiere di mano. “Basta! Non sei solo. Hai un figlio. E hai me!”

Lui la guardò sbalordito. “Un figlio? Cosa dici?”

Allora gli raccontò tutto. Lui pianse. “Non posso crederci… un figlio mio!”

Il giorno dopo, Ginevra tornò con Leonardo. Matteo si era fatto bello, come ai vecchi tempi. Leo gli tese la mano. “Ciao, papà.”

Matteo scoppiò in lacrime, poi si inginocchiò davanti a Ginevra. “Grazie, grazie per tutto.”

Ora vivono insieme. Leo studia medicina, e Matteo è rinato. Dice sempre: “Bisogna vivere nel presente. L’ho capito grazie a te.”

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