L’uomo con il rimorchio

13 novembre, una sera di pioggia e neve che batte sul vetro, il vento fischia nei tubi come un lupo affamato e nel mio piccolo ambulatorio il termosifone gracchia, ma regala un po di calore. Stavo per chiudere la porta quando, con un cigolio, è comparso sullo stipite Giorgio Sommariva. Un uomo massiccio, spalle larghe, ma al tempo stesso sembra che il vento lo stia quasi sradicando. Con una mano stringe una borsa di tela: è la sua bambina, Ginevra.

Lha adagiata sul lettino di legno, poi si è ritirato contro il muro, fermo come una statua. Quando ho posato gli occhi su di lei il mio cuore è sceso in fondo alle scarpe. Il visino è pallido, le labbra secche e screpolate, il piccolo corpo trema e sussurra solo una parola: Mamma. Ha meno di cinque anni. Ho misurato la temperatura: Madonna santa, quasi quarantanni.

Giorgio, perché sei rimasto lì fermo? Da quanto tempo è così? le ho chiesto con tono severo, mentre già la mia mano era impegnata a preparare lago e la siringa. Lui è rimasto in silenzio, lo sguardo fisso sul pavimento, i denti serrati fino a far diventare bianche le nocche. Era lontano, non con me, ma in una sofferenza che lo avvolgeva come una nebbia.

Ho capito allora che dovevo curare anche lui, non solo la bambina. Lanima di quelluomo è a pezzi, le ferite più profonde di qualsiasi febbre.

Ho iniettato il medicinale, lho avvolto in un panno caldo. Pian piano Ginevra si è calmata, il respiro è diventato più regolare. Mi sono seduta al bordo del lettino, le ho accarezzato la fronte sudata e ho parlato a bassa voce a Giorgio:
Resti qui, per favore. Dove vai in una notte così avversa? Puoi accomodarti sul divano, io resto a vegliare.

Lui ha annuito, ma non si è mosso. È rimasto lì, accanto al muro, fino al primo chiarore dellalba, come una sentinella. Per tutta la notte ho cambiato le medicazioni, le ho dato acqua fresca, e i miei pensieri giravano intorno a lui.

Nel villaggio di San Pietro di Valle si racconta di Giorgio. Un anno fa sua moglie, Caterina, è annegata nel fiume. Era una donna bella, la voce limpida come un ruscello. Dopo la sua morte Giorgio è diventato una statua di pietra: lavora per tre famiglie, tiene la casa in ordine, si prende cura della figlia, ma gli occhi sono vuoti, morti. Non parla più con nessuno, i saluti sono forzati.

Si dice che quel giorno, in riva al fiume, abbia bevuto troppo e abbia detto una parola crudele; la ragazza, disperata, si è lanciata nellacqua. Lui non lha fermata. Da allora non ha più bevuto, ma il rimorso è più forte di qualsiasi bicchiere di vino. Il villaggio lo guarda come luomo con il rimorchio, ma il rimorchio non è la bambina, è il peso della tragedia che trascina ovunque.

Al mattino Ginevra si è schiarita, la febbre è sparita. Ha aperto quegli occhi azzurri come il campo di papavero della madre, mi ha guardato e poi ha guardato suo padre, le labbra tremanti. Giorgio lha avvicinata, ha toccato la mano esitante, come se fosse bruciato. Aveva paura di lei, perché in lei vedeva riflessa Caterina, il suo dolore.

Le ho ospitata per un giorno, le ho preparato un brodetto di pollo, lho nutrita col cucchiaino. Mangiava silenziosa, quasi senza parole. Rispondeva solo con sì o no. Anche Giorgio era più silenzioso: le versava la zuppa, le spezzava il pane, le intrecciava una treccia con le mani grosse e rugose, senza dire nulla. Laria della casa ronzava di un silenzio carico di dolore.

Io non li ho lasciati soli. A volte le portavo dei cornetti, altre volte una barattola di marmellata perché non cè che fare. Li osservavo vivere come due estranei nella stessa casa, una muraglia di ghiaccio li separava e nessuno sapeva come scioglierla.

Allarrivo della primavera è arrivata nella scuola del villaggio una nuova insegnante, Olga Serafina. Veniva da Milano, educata, con un velo di tristezza negli occhi. Anche lei portava una storia pesante, non era abituata alla vita rurale. Ha iniziato a insegnare ai bambini, e Ginevra è finita nella sua classe.

E allora, cari amici, è stato come un raggio di sole che squarcia la nebbia. Olga ha sentito subito la tristezza silenziosa di Ginevra e, piano piano, ha iniziato a scaldarle il cuore. Le portava libri illustrati, matite colorate, dopo le lezioni le leggeva una fiaba. Ginevra si è avvicinata a lei.

Un giorno, entrando nella scuola per controllare la pressione del dirigente, ho trovato le due sole nella classe vuota. Olga leggeva, Ginevra è appoggiata al suo braccio, immobile, gli occhi pieni di una serenità che non vedevo da tempo.

Allinizio Giorgio osservava la scena come un lupo in agguato. Quando è venuto a prendere la bambina, ha visto la maestra accanto a lei, il suo viso si è indurito. Ha brontolato: Andiamo a casa, afferrando la mano di Ginevra. Non ha salutato Olga, non ha mostrato rispetto. Nella sua bontà ha visto solo pietà, e per lui la pietà era più brutale di una sberla.

Una sera, al mercato, Olga e Ginevra si fermarono a prendere un gelato. Giorgio, passando, li ha incrociati, il viso si è corrucciato. Olga gli ha sorriso dolcemente:
Buonasera, signor Giorgio. Stiamo vizzzando la sua bambina.
Lui le ha strappato il cono dalle mani e lha gettato nel cestino.
Non è affar tuo, non ti intromettere. Sistemiamoci da soli.
Ginevra ha pianto, Olga è rimasta impassibile, gli occhi pieni di rabbia e dolore. Giorgio ha voltato le spalle, portando via la figlia sconsolata. Il mio cuore è scoppiato in una corrente di sangue quando ho visto quel gesto. Che stolto è quelluomo, che sfregia la propria vita e quella della figlia.

Quella notte è venuto da me a chiedere della corazotta. Il cuore mi schiaccia, ha detto. Gli ho versato un bicchiere dacqua e mi sono seduta di fronte a lui.
Non è il cuore che ti opprime, Giorgio, è il tuo dolore. Pensi di proteggere la bambina con il silenzio? La stai lentamente uccidendo. Ha bisogno di parole dolci, di calore. Tu la trascini come un blocco di ghiaccio. Lamore non si trova nella minestra bollente, ma negli sguardi, nei tocchi. Devi liberare Caterina, lasciarla andare. Solo così potrai vivere davvero.
Lui ha ascoltato, la testa china, e poi ha alzato gli occhi su di me, con una sofferenza cosmica che mi ha toccata il petto.
Non riesco, Signora Valentina, non riesco
Ed è andato via. Sono rimasta a fissare la sua figura, a chiedermi se sia più facile perdonare gli altri che se stessi.

Poi è arrivato levento che ha cambiato tutto. Era fine maggio, i fiori di nocciolo profumavano laria e la terra era fresca. Olga è rimasta con Ginevra dopo le lezioni; si sono sedute sul portico della scuola a disegnare. Ginevra ha tracciato una casa, un sole e, accanto al papà, unombra nera e spessa.

Olga ha guardato quel disegno, il suo cuore si è incrinato. Ha preso la mano di Ginevra e lha condotta da Giorgio. Io passavo di lì, volevo sapere se serviva qualcosa. Ho visto Olga esitante davanti al cancello di casa, mentre Giorgio, nel cortile, segava legna con furia, i trucioli volavano ovunque.

Olga ha raccolto coraggio, è entrata. Giorgio ha spento la sega, si è voltato, il volto più scuro di una nuvola temporalesca.
Ti avevo chiesto
Scusi, ha sussurrato Olga. Non voglio disturbare, sono solo venuta per Ginevra. Ma devo dirle una cosa.
Ha cominciato a parlare piano, ma le sue parole sembravano risuonare per tutta la via. Ha raccontato del marito scomparso in un incidente, di come, per un anno, non fosse uscita di casa, tirando su le tende e fissando il soffitto, desiderando solo la morte.
Anchio mi colpevo, ha detto con voce rotta. Pensavo che se avessi tenuto stretto il marito quel giorno, nulla sarebbe accaduto Sono affondata in quel dolore, Giorgio. Ma ho capito che onorare la sua memoria non significa restare tra i morti, ma vivere per lui. È tempo di respirare di nuovo.
Giorgio è rimasto immobile, la maschera di invulnerabilità si è lentamente staccata. Ha coperto il volto con le mani, tremando, ma non piangendo. Con la voce rotta ha confessato:
È colpa mia. Quel giorno ridevamo, lei si è tuffata nel fiume lacqua era gelida. Ho cercato di salvarla, ma non ci sono riuscito.
In quel momento, dalla finestra del cortile, è comparsa Ginevra. Ha sentito tutto. Si è avvicinata al padre, lo ha guardato senza paura, solo con una tenerezza infinita.
Ha afferrato le sue gambe robuste con le sue manine sottili e ha detto forte:
Papà, non piangere. Mamma è su una nuvola, ti guarda. Non è arrabbiata.
Giorgio è crollato in ginocchio, lha avvolta in un abbraccio disperato, piangendo come un bambino. Olga era vicina, anchella in lacrime, ma erano lacrime di purificazione.

Il tempo ha continuato il suo corso. Lestate è diventata autunno, poi di nuovo primavera, e nel nostro piccolo paese di San Pietro di Valle è nata una nuova famiglia, non per registri, ma per vero affetto.

Ora mi siedo sulla mia veranda, il sole riscalda le spalle, le api ronzano nei ciliegi in fiore. Vedo Giorgio, Olga e Ginevra camminare mano nella mano lungo la strada del villaggio. Ginevra chiacchiera, ride, la sua voce è un campanello che riecheggia tra le case.

E Giorgio non avreste creduto a quanto sia cambiato! Le spalle sono dritte, negli occhi cè luce, sorride a Olga, a sua figlia, con quella serenità che solo chi ha ritrovato un tesoro può mostrare.

Si fermano davanti a me.
Buongiorno, Signora Valentina, dice Giorgio, con una voce colma di calore.
Ginevra corre e mi porge un mazzo di margherite.
Per lei!
Le prendo, gli occhi ancora lucidi di lacrime, e sento il cuore scoppiare di gioia. Ha staccato il suo rimorchio di dolore. O forse è stato lamore, quello di una madre, di una figlia e di un uomo a salvarlo.

Si dirigono verso il fiume. Ora quel corso dacqua non è più un luogo di ricordi tristi, ma solo un fiume dove si può fermare, guardare lacqua scorrere e lasciar andare tutto ciò che è pesante.

Mi chiedo, cari lettori, se un uomo possa riscattarsi da solo dalla sua miseria, o se abbia davvero bisogno di una mano tesa. La risposta, per me, è chiara: nessuno può farcela da solo; è lamore che ci tira fuori dal fango.

Valentina Semproni.

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