L’uomo dei miei sogni ha lasciato sua moglie per me, ma non avrei mai immaginato cosa sarebbe successo
Lo ammiravo sin dai tempi dell’università, quando vivevo in un piccolo paese vicino a Firenze. Era un amore cieco, pazzo, di quelli che ti sconvolgono la testa e ti fanno dimenticare tutto il resto. Quando finalmente mi notò, persi quel poco di raziocinio che mi era rimasto. Accadde anni dopo l’università: il destino ci fece incontrare in uno studio legale. Stessi interessi, stessa professione: decisi che non era casuale, ma un segno del destino, la mia favola che stava per diventare realtà.
Lui mi sembrava l’ideale, l’uomo dei sogni. Il fatto che fosse sposato non mi disturbava da giovane: non sapevo cosa significasse un matrimonio che si sgretola, non comprendevo il dolore nascosto dietro certe storie. Non provavo alcuna vergogna quando Marco lasciò sua moglie per me. Chi avrebbe potuto prevedere che quella scelta mi avrebbe portato tanta sofferenza? Le saggezze popolari non mentono: sulla sfortuna altrui non costruirai mai la tua felicità.
Quando mi scelse, pensavo di camminare sulle nuvole, pronta a perdonargli tutto. Ma nella vita quotidiana si rivelò tutt’altro che un principe. I suoi oggetti sparsi per casa riempivano l’appartamento, si rifiutava categoricamente di lavare i piatti e tutta la gestione domestica ricadde sulle mie spalle come un pesante fardello. All’epoca chiudevo gli occhi su tutto: l’amore mi accecava, mi rendeva malleabile, quasi senza volontà.
Del suo precedente matrimonio si dimenticò rapidamente, come se l’avesse cancellato dalla memoria. Non avevano figli e, mi confessò, furono i genitori di lei a insistere per il matrimonio. «Con te è diverso, sei il mio destino», mi sussurrava, e io mi scioglievo. La mia felicità fu luminosa ma breve, come un lampo. Tutto cambiò quando rimasi incinta.
All’inizio Marco era al settimo cielo: un figlio, il suo figlio! Organizziamo una grande festa in famiglia, invitammo parenti e amici. Brindisi, auguri di felicità e salute per il bambino: quella serata rimase nella mia memoria come una macchia di luce, un’isola di calore in un mare di oscurità in arrivo. Non me ne pento, ma dopo quella notte il mio amore cieco iniziò a svanire, come una candela al vento.
Più cresceva il mio ventre, meno vedevo Marco a casa. Presi il congedo maternità e i nostri incontri si ridussero a tarda sera. Si tratteneva al lavoro, scompariva a cene aziendali. All’inizio sopportavo, ma presto diventò insopportabile. La vita domestica si trasformò in un tormento: incinta, mi muovevo a fatica, e i suoi calzini e camicie lasciate ovunque erano un muto rimprovero alla mia ingenuità. Mi chiesi: siamo stati troppo frettolosi con un figlio? Sapevo che l’amore svanisce col tempo, ma non pensavo che potesse evaporare così in fretta.
Continuava a portarmi fiori e cioccolatini, ma io avevo bisogno di altro: lo volevo accanto, volevo il suo sostegno, il suo calore. E poi la verità venne a galla. Un discorso casuale con i colleghi alla pausa caffè mi aprì gli occhi: era arrivata una nuova collega, giovane, intraprendente. La situazione in ufficio era già critica, e il mio congedo la peggiorò. Coincidenza? Non lo sapevo, ma Marco aveva chiaramente qualcun’altra. Ora la sua vita era fatta di «lavoro», «incontri» e «impegni urgenti». Una volta trovai nel taschino della giacca un biglietto con iniziali sconosciute. Il cuore mi si strinse, ma lo rimisi a posto, decidendo di far finta di nulla. La paura di restare sola al settimo mese di gravidanza mi paralizzava.
Iniziò a lamentarsi che ero «sempre nervosa», e ogni litigio finiva con un suo sospiro stanco, come se fossi un peso. Temevo di affrontare il tema principale, sapendo che sarebbe stata la fine. E così fu. Le parole più terribili che abbia mai sentito furono: «Non sono pronto ad avere figli. Ho un’altra». Non ricordo come lo disse: avevo un ronzio in testa mentre il mondo mi crollava intorno. Pensavo che sarei impazzita dal dolore e dall’umiliazione.
Ma trovai la forza dentro me. Chiesi il divorzio, sebbene ogni singola lettera della richiesta fosse come un colpo al cuore. Non si aspettava che avrei avuto il coraggio di sbattere fuori di casa le sue cose il giorno dopo. Grazie a Dio, l’appartamento era in affitto: non c’era nulla da dividere.
«E il bambino? Pensa al bambino! Come farai a crescerlo?» mi disse infine.
«Ce la farò. Lavorerò da casa. E i miei genitori mi aiuteranno. Mia madre mi ha sempre detto che eri un donnaiolo, avrei dovuto ascoltarla», risposi chiudendo la porta.
La responsabilità verso mio figlio mi diede una forza che non pensavo di avere. Da sola non sarei mai andata via, ma per lui ci riuscii. Il suo tradimento fu così meschino che cancellai Marco dalla mia vita, come se non fosse mai esistito. I miei occhi si aprirono e vidi il suo vero volto.
I primi mesi dopo il divorzio, compreso il parto, furono un inferno. Tornai dai miei genitori nel paese accanto, mi accolsero a braccia aperte, specialmente il nonno fu felice di avere un nipote. Mi mancava Marco, ma tenevo a distanza quei pensieri. Nel profondo sapevo di aver fatto la cosa giusta e che avrei dato a mio figlio tutto ciò che potevo.
Non appena recuperai le forze, iniziai a lavorare da casa traducendo documenti legali. Ci furono mesi senza un guadagno, ma i miei genitori mi sostennero finché non trovai clienti. Mio figlio cresceva, gli anni passavano in un lampo. Me ne resi conto quando capii che aveva bisogno di un suo spazio. I miei non volevano che ce ne andassimo, ma sognavo l’indipendenza: il mio studio, la sua stanza per studiare. Arrivai a potermi permettere un appartamento in affitto.
La vita iniziava a riallinearsi. L’asilo lasciò il posto alla scuola, la prima elementare divenne la quinta, e provai per la prima volta in anni libertà e serenità. Ma poi lui riapparve. Il nostro paesino non è grande e nel mondo legale ci conosciamo tutti. Marco trovò il mio ufficio con facilità. Quanto rimpiangevo di non essermi trasferita più lontano! Dichiarò che aveva «messo la testa a posto», che si pentiva del passato, che era «giovane e sciocco». Supplicava di conoscere suo figlio, che nemmeno aveva mai visto.
Per legge, ha diritto agli incontri e se vorrà, potrà ottenerli. Ma solo il pensiero mi gela il sangue. Sono passate settimane da quella conversazione. Dissi che ci avrei pensato, ma nella mia testa è il caos: non mi fido di lui e non voglio che si avvicini a mio figlio. Forse è la mia punizione? Una penitenza per averlo portato via dalla sua prima moglie? Sto seriamente pensando di trasferirmi in un’altra città, per salvarci da questo passato che bussa ancora alla mia porta.