Uomo dei miei sogni lasciò sua moglie per me, ma non immaginavo in cosa mi avrebbe portato
Sospiravo per lui fin dai tempi dell’università, vivendo in un piccolo paese vicino a Bologna. Fu un amore cieco, folle, quello che ti fa perdere la testa e dimenticare tutto il resto. Quando finalmente mi notò, persi quel poco di senno che mi era rimasto. Questo avvenne anni dopo la laurea, quando il destino ci fece incontrare in uno studio legale. Stessa professione, interessi comuni: pensai fosse un segno del destino, una favola pronta a diventare realtà.
Lui mi sembrava l’ideale, un uomo dei sogni. Che avesse una moglie non mi disturbava in gioventù: non sapevo cosa significasse vedere un matrimonio andare in pezzi, né comprendevo il dolore dietro storie simili. Non provai neanche un briciolo di vergogna quando Andrea lasciò sua moglie per me. Chi avrebbe immaginato che quella scelta mi avrebbe portato così tanto dolore? La saggezza popolare non mente: sulla sventura altrui non si costruisce la propria felicità.
Quando mi scelse, camminavo sulle nuvole, pronta a perdonargli tutto. Nella vita quotidiana, però, non si rivelò affatto un principe. Le sue cose sparse ovunque riempivano l’appartamento, si rifiutava categoricamente di lavare i piatti, e il peso della casa ricadde interamente sulle mie spalle come una croce pesante. All’inizio chiusi un occhio, l’amore mi accecava, mi rendeva remissiva, quasi senza volontà.
Dimenticò in fretta il matrimonio passato, come se lo avesse cancellato dalla memoria. Non avevano figli, e come confessò, fu il volere dei genitori di lei a insistere per il matrimonio. «Con te è tutto diverso, tu sei il mio destino», mi sussurrava, facendomi sciogliere. La mia felicità fu intensa ma breve, come un lampo. Tutto cambiò quando rimasi incinta.
All’inizio Andrea era al settimo cielo: un figlio, il suo figlio! Organizzammo una grande festa di famiglia, invitando parenti e amici. Brindisi, auguri di felicità e salute per il bambino: quella sera rimase un vivido ricordo di calore in un mare di oscurità incombente. Non mi pento, ma dopo quella notte il mio amore cieco iniziò a svanire come una candela al vento.
Più cresceva il mio ventre, meno vedevo Andrea a casa. Andai in congedo maternità e le nostre visite si ridussero a serate tardive. Si tratteneva al lavoro, spariva a feste aziendali. All’inizio pazientavo, ma presto divenne insopportabile. La vita quotidiana divenne una tortura: io, incinta, facevo fatica a muovermi, e i suoi calzini e camicie giacevano ovunque, muta accusa alla mia ingenuità. Mi chiedevo: abbiamo fatto troppo in fretta con il bambino? Sapevo che l’amore svanisce col tempo, ma non immaginavo così velocemente.
Continuava a portare fiori, cioccolata, ma non era quello che cercavo: volevo lui vicino, il suo supporto, il suo calore. Poi, emerse la verità. Una conversazione casuale con i colleghi durante un caffè mi aprì gli occhi: un nuovo dipendente era arrivato al dipartimento, giovane e vivace. L’organico era già al collasso, e la mia assenza per maternità rendeva la situazione critica. Coincidenza? Non sapevo se fosse lei, ma Andrea indubbiamente aveva qualcuna dall’altra parte. La sua vita ora era fatta di “lavoro”, “incontri” e “impegni urgenti”. Un giorno trovai nel taschino della sua giacca un biglietto con iniziali sconosciute. Il cuore si strinse, ma lo riposi in silenzio, decidendo di fare finta di essere cieca. La paura di restare sola al settimo mese di gravidanza mi paralizzava.
Cominciò a lamentarsi che io fossi “sempre sui nervi”, e ogni litigio si concludeva con un suo sospiro stanco, come se fossi un peso. Avevo paura di affrontare il tema principale – sapevo che era la fine. E arrivò. Le parole più terrificanti che abbia mai sentito furono: «Non sono pronto per figli. Ho un’altra». Come lo disse, non ricordo, nella testa c’era un ronzio, il mondo si disfaceva. Pensavo di impazzire per il dolore e l’umiliazione.
Ma trovai la forza. Chiesi il divorzio, anche se ogni lettera del documento era come un colpo al cuore. Non si aspettava che avrei agito, né che avrei gettato le sue cose fuori dalla porta il giorno dopo. Per fortuna, l’appartamento era in affitto, quindi non ci fu nulla da dividere.
«E il bambino? Pensa al bambino! Come lo crescerai?» disse, per l’ultima volta.
«Ce la farò. Lavorerò da casa. E i miei aiuteranno. Mia mamma me lo diceva che eri un donnaiolo, avrei dovuto ascoltarla», ribattei, chiudendo la porta.
La responsabilità per mio figlio mi diede una spina dorsale che non sapevo di avere. Da sola non me ne sarei mai andata, ma per lui ce l’ho fatta. Il tradimento di Andrea fu così vile che lo cancellai dalla mia vita, come se non fosse mai esistito. Gli occhi si aprirono, e vidi il suo vero volto.
I primi mesi dopo il divorzio, compreso il parto, furono un inferno. Tornai dai miei genitori in un paese vicino – mi accolsero a braccia aperte, soprattutto felici per il nipotino. Mi mancava Andrea, ma scacciavo quei pensieri. Nel profondo sapevo di aver fatto bene e che avrei dato a mio figlio tutto ciò che potevo.
Non appena recuperai le forze, iniziai a lavorare – traducevo testi giuridici da casa. Ci furono mesi senza entrate, ma i miei genitori mi sostennero finché non trovai clienti. Il bambino cresceva, gli anni volavano in un batter d’occhio. Me ne accorsi quando realizzai che aveva bisogno di uno spazio tutto suo. I miei non volevano che partissimo, ma io sognavo l’indipendenza – un mio studio, la sua stanza per studiare. A quel punto potevo permettermi affittare un appartamento.
La vita si stabilizzò. L’asilo lasciò il posto alla scuola, la prima classe alla quinta, e per la prima volta da anni sentii libertà e pace. Ma allora lui riapparve. Il nostro paesino è piccolo, e nel mondo dell’avvocatura tutti si conoscono. Andrea trovò il mio ufficio senza problemi. Quanto rimpiangevo di non essermi trasferita più lontano! Dichiarò di essersi ricreduto, di rimpiangere il passato, che era stato “giovane e stupido”. Suplicava di incontrare suo figlio, che non aveva mai visto.
Per legge ha diritto agli incontri, e se decide di volere lo otterrebbe. Ma l’idea stessa mi gela il sangue. Sono passate alcune settimane da quella conversazione. Ho detto che ci avrei pensato, ma il caos regna nella mia mente – non mi fido di lui e non voglio farlo avvicinare a mio figlio. Forse è la mia penitenza? Una punizione per averlo portato via dalla sua prima moglie? Sto seriamente pensando di trasferirmi in un’altra città, per salvarci da questo passato che bussa di nuovo alla mia porta.