Squisito. Ma non per me. Valentina Rossi sussurrò affacciandosi dal davanzale:
“Simona, guardalo! Quello sì che è un marito! Fiori alla moglie ogni settimana, ha lavato la macchina all’alba per portare Stella al lavoro. Il tuo dov’è?”
Simona rimestava la minestra senza staccarsi dai fornelli. Oltre la finestra, Antonio Bianchi dal settimo palazzo trapiantava pomodorini con cura, un mazzo di rose vermiglie posato sulla panchina.
“Valentina, basta,” sospirò lei. “Ognuno ha la sua vita.”
“Vita?! Guardalo bene! Giardino da rivista, adora la moglie, porta i nipoti in bici ogni weekend. E Stella quanto è felice! Ieri al supermercato mi ha raccontato per mezz’ora dei massaggi ai piedi che Antonio le fa la sera.”
Simona aggrottò le sopracciglia. Antonio Bianchi era il marito perfetto. Le vicine ne sussurravano, l’intero quartiere lo sapeva. Spalava la neve dai vialetti delle anziane, riparava staccionate, prestava attrezzi. Mai una voce alta con la moglie.
“E a me che importa? Il mio Vito è una brava persona.”
“Brava persona? Ieri alle undici ha messo la musica a palla! La nipotina ha pianto fino a mattina. L’altro ieri la sua auto bloccava la strada, il signor Berti è strisciato per passare.”
“Era di malumore,” si difese Simona, pur sapendo le scuse fragili.
Vito non era l’ideale. Dimenticava compleanni, lasciava piatti sporchi per giorni, spendeva metà stipendio in canne da pesca. Ma lei lo amava così. Ne amava i goffi tentativi di farle colazione quando stava male. Il russare sommesso. Persino i calzini sparsi per la camera.
Dopo che Valentina se n’era andata, Simona uscì nell’orto a innaffiare le zucchine. Oltre la siepe, Antonio e sua moglie sussurravano:
“Stella, vuoi la sedia? Non stare in ginocchio, ti fai male.”
“No, Antonio, controllo le fragole e ho finito.”
“Allora preparo il tè. Con limone o marmellata?”
“Marmellata, amore.”
Simona paragonò quel dialogo alla loro mattina:
“Vito, la colazione è pronta!”
“Arrivo!” aveva gridato dal bagno. “C’è il caffè?”
“Solo solubile in dispensa.”
“Ma dove diavolo è…”
Alla fine Vito era uscito digiuno. Lei s’era rimproverata tutto il giorno.
Quella sera, mettendo a letto la nipotina Daria, sentì un sospiro:
“Nonna… perché il signor Antonio regala fiori alla zia ogni giorno? E il nonno Vito a te mai?”
Simona si sedette sul letto, sistemando la copertina:
“Ti piacerebbe che il nonno mi regalasse f?”
“Sì! Tu sei buona, mi leggi storie e fai i biscotti. Perché lui non ti dà niente?”
La verità, dalle labbra di Daria, bruciò. Simona non rispose.
L’indomani, incrociando Stella Bianchi al supermercato, la osservò. Elegante, vestito estivo, capelli curati.
“Simona, ciao! Come stai?”
“Bene. Tu?”
“Divinamente! Oggi Antonio vuol cucinare lui la lasagna. Capisci? Mi fa riposare.” Stella rise. “Lo aiuterò perché confonde sempre sale e zucchero.”
“Che fortuna avere un marito così,” disse Simona, una venatura d’invidia nella voce.
“Fortuna,” assentò Stella, ma un’ombra le attraversò il volto.
Tornata a casa, la solita scena: Vito davanti alla TV con una birra, scar
Era finalmente serena, guardando la televisione accanto a Vladimiro, quando lui, senza staccare gli occhi dallo schermo, le sfiorò distrattamente la mano con un gesto familiare che le riempì il cuore di una calma, perfetta riconoscenza.