**Il Sogno di Lucia**
“Ma sei stata tu a proporre di prendere mia madre. Non ti ho obbligata,” disse Fabrizio a Lucia.
Lucia, dopo la laurea, iniziò a lavorare nell’azienda dove Fabrizio era già impiegato. Lui notò subito la ragazza timida e carina. Da veterano, le fece fare il giro dell’ufficio, e dopo il lavoro l’aspettò in macchina. Così iniziarono a frequentarsi, e sei mesi dopo si sposarono.
Fabrizio aveva appena comprato un appartamento, ma i soldi per la ristrutturazione erano finiti. I genitori di Lucia li aiutarono. I giovani si misero all’opera con entusiasmo: sceglievano carte da parati, mobili, passavano le serate a ridipingere le pareti. A volte chiamavano gli amici, e tra risate e chiacchiere il lavoro procedeva. Lucia si occupava dei dettagli, quei piccoli tocchi che rendono una casa accogliente. Alla fine dei lavori, festeggiarono con una grande cena. Ora non restava che vivere e godersi la vita.
“Che ne dici di aspettare con i figli? Prima andiamo in vacanza, ci riposiamo, e poi…” diceva Fabrizio.
Era giugno, il sole scaldava l’aria, e i pioppi lasciavano cadere i loro fiocchi bianchi. Era tempo di vacanze. La sera, seduti sul divano, sceglievano hotel, prenotavano voli. Ma il disastro arrivò da dove meno se l’aspettavano, e i sogni di relax svanirono.
Una mattina, mentre Lucia si truccava le ciglia in cucina e Fabrizio controllava il caffè sul fuoco, squillò il telefono.
“Lucia, il caffè è pronto,” disse Fabrizio rispondendo.
Lei versò la bevanda calda e portò la tazza alle labbra.
“Cosa?!” urlò Fabrizio al telefono.
La mano di Lucia tremò, il caffè le bruciò le labbra e si rovesciò sul tavolo formando una pozza informe.
“Che succede?” chiese, vedendo il volto del marito cambiare.
“Mia madre è in ospedale. La vicina ha chiamato. Vado io, tu vai al lavoro e avverti che arriverò in ritardo.”
“Certo,” sussurrò Lucia fissando la macchia marrone.
“Corri, dopo pulisci. L’autobus non aspetta,” disse Fabrizio, e lei obbedì.
Mentre camminava veloce verso la fermata, Fabrizio la superò in macchina facendole un cenno. Lucia alzò una mano, leccandosi le labbra bruciate.
“Come sta tua madre?” chiese tre ore dopo, quando Fabrizio arrivò in ufficio.
“Male. È paralizzata. Non parla. Il dottore dice che le possibilità di ripresa sono poche. Non può vivere da sola.”
“Allora portiamola da noi. Oppure vuoi andare da lei ogni sera? Dovresti darle da mangiare, cambiarle i pannolini… Con noi, almeno, risparmieremmo tempo.”
Fabrizio annuì. A Lucia parve quasi che aspettasse quella proposta.
Tre settimane dopo, portarono a casa Isabella, la madre di Fabrizio. Lucia e Fabrizio le cedettero la loro camera.
“Potremmo prenderci i permessi a turno per assisterla… Come facciamo a lasciarla sola?” sussurrò Lucia in cucina.
“Lucia, sei una donna, per te è più facile. Stai a casa domani, io parlerò al lavoro per farti lavorare da remoto. Abbiamo speso tutto per la casa. Una badante è troppo. Servono medicine, massaggi…” disse Fabrizio, e lei obbedì di nuovo.
Si muoveva come una trottola. Dava da mangiare a Isabella con il cucchiaino, cambiava i pannolini. Appena si sedeva al computer, Isabella la chiamava. E poi c’erano la spesa, la cena. Quando Fabrizio tornava, Lucia crollava esausta.
La stanchezza si accumulava, insieme al risentimento verso Fabrizio, che non l’aiutava mai ed entrava nella stanza della madre solo per salutarla. Commetteva errori al lavoro, e il capo le rimandava i documenti. Poi chiamò per dirle che Fabrizio aveva chiesto di sostituirla…
“Non riesci nemmeno a tenere un cucchiaio? Aiutami almeno un po’!” sbottò Lucia, irritata.
“Come hai potuto decidere per me?” rimproverò il marito.
“Non ce la fai.”
“E tu potevi aiutarmi. Sto facendo l’impossibile… Non ce la faccio più.” Si sedette, la testa fra le mani. “Sto impazzendo con questo odore. Cambio i pannolini spesso, ma persiste. Apro la finestra, e tua madre geme che ha freddo.”
“Ma sei stata tu a proporre di prenderla. Non ti ho obbligata,” disse Fabrizio.
Lucia rimase senza fiato. Aveva scelto lei quel peso.
Una notte, Fabrizio tornò tardi dopo una cena aziendale. Lucia lo aspettava sveglia. Litigarono di nuovo, urlarono. Ormai lo facevano ogni giorno. Lucia ne aveva abbastanza. Aprì l’armadio e iniziò a tirare fuori i vestiti, gettandoli sul letto.
“Basta. È tua madre. Pensaci tu. Io me ne vado…”
Dalla camera arrivò un gemito.
“Che c’è adesso?” gridò Lucia, entrando di corsa.
Isabella aveva le lacrime agli occhi, una striscia lucida le scendeva fino all’orecchio. Lucia la asciugò con un asciugamano. Isabella afferrò il bordo della camicia da notte di Lucia e mormorò:
“Non an… dare…”
Lucia si sedette sul letto e scoppiò in lacrime. Isabella le accarezzò i capelli.
“Mi dispiace. Sono stanca. Perdonatemi…” Si alzò di scatto e fuggì dalla stanza. Sulla porta sbatté contro Fabrizio. Lo fulminò con lo sguardo.
Il giorno dopo, prima che Fabrizio tornasse, Lucia uscì. Aveva bisogno di respirare. Andò da un’amica. Parlarono, bevvero vino e piansero entrambe.
“Senti, e se accelerassi il suo…?” propose l’amica, alzando un dito e strizzando l’occhio.
“Che dici? E se fosse mia madre?” si indignò Lucia.
Non tornò più da quell’amica. A dire il vero, anche a lei erano venuti quei pensieri, e ne aveva paura.
Un mese dopo, Isabella morì nel sonno. Il medico dell’ambulanza disse che la lingua le era caduta all’indietro, bloccando il respiro… Ma Lucia si sentiva in colpa. Si era addormentata, stremata, e non aveva sentito nulla…
Al funerale, Lucia era svuotata, impassibile davanti alla bara. Fabrizio si asciugava gli occhi. “Non l’ha mai aiutata, e ora piange davanti alla bara. Che commedia,” pensò. Le venne la nausea. Se ne andò prima della sepoltura. Si voltò un paio di volte, ma Fabrizio non la raggiunse.
“Pesciolina!” sentì una voce.
Si voltò. Un uomo sorridente la osservava. Il vento gonfiava il suo lungo cappotto nero, facendolo sembrare un gabbiano. E Lucia riconobbe un suo ex compagno di scuola.
“Daniele! Rossi!”
“Sono io. Cammini così pensierosa. Hai seppellito qualcuno?”
“Mia suocera,” sospirò.
“È stato difficile?”
Lucia annuì, lo guardò.
“Anch’io ho perso mia madre quattro mesi fa. L’ho assistita per un anno. Mia moglie è scappata subito. Capisco cosa avete passato tu e tuo marito.”
“Da solo? L’hai assistita tuLucia guardò Daniele negli occhi e, per la prima volta dopo mesi di buio, sentì che forse una nuova vita poteva iniziare, più leggera e luminosa di quanto avesse mai osato immaginare.