«Madre finge malattia per scoprire quale figlio la ama davvero: il risultato è sorprendente»

Quando al mattino presto squillò il telefono, Ginevra non capiva se fosse ancora a letto o già sveglia. Sullo schermo lampeggiava un nome: “Mamma”. Il sonno svanì all’istante. La voce della madre era allegra, quasi vivace:

“Dormi ancora, pigrona? Io ho già infornato le sfogline. Domani aspettate l’invito: tu e Sandro. Dobbiamo parlare. No, non dell’orto. Del testamento! Non voglio che vi azzanniate ai funerali per la casa e i quattro spicci. Venite tutti e due, senza scuse!”

Ginevra si bloccò. Testamento? Funerali? Che succedeva? Ma la madre parlava con tale sicurezza che discutere era inutile.

Intanto, Vittoria Maria, madre di Ginevra e Sandro, sedeva al tavolo aggiustandosi lo scialle di lana. Accanto a lei c’era la vicina Gina, gli occhi pieni di preoccupazione:

“Vittoria, ti senti male? Perché parli di cose così tristi? Mi spaventi…”

“Tranquilla, Gina. Voglio solo vedere i miei figli. Non ci siamo visti da un anno. Ognuno per conto suo, come estranei. Se domani mi succede qualcosa, chi glielo spiegherà? E poi, voglio metterli alla prova. Vedere come mi trattano davvero.”

Con queste parole, Vittoria Maria chiuse la porta dietro la vicina e andò a riposare. Domani sarebbe stato un giorno importante.

La mattina era grigia, perfetta per il suo piano. Sistemò la casa, indossò una vecchia vestaglia, si lavò e si sedette in poltrona trattenendo il fiato. Dopo un’ora, bussarono alla porta.

Prima entrò Ginevra, accaldata e agitata.

“Mamma! Che succede? Stai male? Che testamento?” gridò, lanciandosi verso la madre.

Dietro di lei, più calmo, arrivò Sandro.

“Ci hai spaventati, mamma. Ti sei rassegnata? Non è un po’ presto?”

“Sedetevi a tavola, figli miei,” disse Vittoria con calma. “E chiamate pure i vostri compagni. Lucia, Marco, entrate pure.”

Quando tutti furono seduti, lei riprese:

“Ascoltate e non interrompete. Devo dirvi una cosa. La vecchiaia non è una gioia, e io vivo sola. Le malattie non avvisano. Per questo ho deciso di parlarne ora. Ma prima, aiutatemene un po’. Chi, se non la famiglia, può assistere una vecchia? La legna da spaccare, il pranzo da preparare…”

Ginevra e Lucia annuirono e si misero all’opera. Vittoria le osservava: la pasta si attaccava alle dita, le patate erano tagliate troppo grosse, le pentole sbattevano. “Povere ragazze di città,” pensò, ma non disse nulla. Non era quello il punto.

Dopo pranzo, chiese a Marco e Lucia di uscire, rimanendo sola con i figli.

“Ora, ascoltatemi bene. La casa dove siete cresciuti, l’ho lasciata a Gina, la vicina. Lei è qui, mi aiuta se serve. Sandro, a te lascio il capanno e gli attrezzi. Puoi farne ciò che vuoi. E a te, Ginevra, i miei risparmi. Ho messo da parte la pensione, quasi non li ho toccati.”

Un silenzio pesante calò nella stanza.

“La casa a un’estranea?” disse alla fine Sandro. “Dici sul serio?”

“E perché no? Non vi siete fatti vivi per un anno. Gina viene ogni giorno. E tu, Sandro, non mi hai invitata al matrimonio, vergognandoti di tua madre? E tu, Ginevra, non ti vedo da quando hai sposato Marco per la seconda volta. E allora ti arrabbiaste, ricordi? Quando dissi che Enzo non faceva per te. Avevo ragione…”

“Mamma, non dire così…” sussurrò Ginevra.

“Non sto bene. Vado a riposare,” sospirò Vittoria, chiudendo la porta della camera da letto.

Fuori iniziò una discussione.

“È colpa tua!” sibilò Sandro. “Potevi venire a trovarla. Ora la casa è di Gina!”

“Certo! Io lavoro tutto il giorno! E tu e Lucia cosa fate? Lei sta a casa, poteva venire!”

Gridavano, si interrompevano. Vittoria ascoltava, seduta vicino alla finestra, con le lacrime agli occhi. Dov’erano i bambini che correvano scalzi in cortile? Dov’erano la loro gentilezza e cura l’uno per l’altro?

Quando rientrarono, lei non era più a letto. Sedeva composta, ma gli occhi tradivano la commozione.

“Mamma, come stai?” chiese Sandro.

“Meglio,” rispose lei con voce ferma. “Ora ho capito. Non servo a nessuno. Il testamento? Ci sarà. Ma più tardi. Quando capirete se questa casa vi serve per amare o per litigare.”

A colazione il giorno dopo, regnava il silenzio. Solo il rumore dei cucchiai. Fu Ginevra a parlare per prima:

“Perdonaci, mamma… Abbiamo sbagliato. Verrò più spesso, promesso. Siamo una famiglia…”

Vittoria annuì. Un caldo silenzio avvolse la tavola.

Da allora, molte cose cambiarono – eppure nulla. Sandro si faceva vivo raramente, ma mandava soldi. Ginevra passava più spesso: minestra, marmellata, aiuto nell’orto. Ma nessuno chiese più del testamento.

E nessuno sapeva che giaceva già nel cassetto più basso della credenza, firmato e timbrato. Tutto diviso a metà. Perché Vittoria Maria amava ancora i suoi figli. Anche se loro a volte lo dimenticavano.

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