Mamma mi rimprovera perché non l’aiuto con mio fratello malato, ma dopo la scuola ho raccolto le mie cose e sono scappata di casa.
Giorgia era seduta su una panchina nel parco di Verona, osservando le foglie che cadevano, danzando nel vento freddo dell’autunno. Il suo telefono vibrava di nuovo—un altro messaggio da sua madre, Elena: «Ci hai abbandonati, Giorgia! Matteo sta peggio e tu vivi la tua vita come se niente fosse!» Ogni parola era come un colpo, ma Giorgia non rispondeva. Non poteva. Nel suo cuore combattevano sensi di colpa, rabbia e dolore, che la trascinavano indietro, verso la casa da cui era fuggita cinque anni prima. Allora, a diciotto anni, aveva fatto una scelta che aveva diviso la sua vita in un “prima” e un “dopo”. E ora, a ventitré, ancora non sapeva se aveva fatto bene.
Giorgia era cresciuta all’ombra di suo fratello minore, Matteo. Aveva tre anni quando i medici gli diagnosticarono una grave forma di epilessia. Da quel momento, la loro casa si trasformò in una stanza d’ospedale. La madre, Elena, si dedicò completamente a lui: medicine, dottori, esami senza fine. Il padre se ne andò, incapace di sopportare il peso, lasciando Elena sola con due figli. Giorgia, che allora ne aveva sette, diventò invisibile. La sua infanzia svanì tra le cure per Matteo. «Giorgia, aiutami con tuo fratello», «Giorgia, non fare rumore, non deve agitarsi», «Giorgia, aspetta, ora non posso occuparmi di te». Sopportò, ma ogni anno sentiva i suoi sogni e desideri allontanarsi sempre di più.
Da adolescente, Giorgia imparò a essere “comoda”. Preparava da mangiare, puliva, badava a Matteo mentre sua madre correva da un ospedale all’altro. Le amiche la invitavano a uscire, ma lei diceva di no—a casa avevano sempre bisogno di lei. Elena la lodava: «Sei il mio sostegno, Giorgia», ma quelle parole non la riscaldavano. Giorgia vedeva lo sguardo che sua madre riservava a Matteo—pieno d’amore, ma anche di disperazione—e capiva che per lei non c’era lo stesso sguardo. Non era una figlia, ma un’aiutante il cui ruolo era semplificare la vita della famiglia. Nel profondo, amava Matteo, ma quell’amore era intriso di stanchezza e rancore.
All’ultimo anno di liceo, Giorgia si sentiva un’ombra. I suoi compagni parlavano di università, feste, progetti per il futuro, mentre lei non riusciva a pensare ad altro che alle spese mediche e alle lacrime di sua madre. Un giorno, tornata da scuola, trovò Elena in preda all’isteria: «Matteo ha bisogno di una nuova terapia, ma non abbiamo i soldi! Devi aiutarmi, Giorgia, trovati un lavoro dopo la scuola!» In quel momento, qualcosa dentro di lei si spezzò. Guardò sua madre, suo fratello, le mura che l’avevano soffocata per tutta la vita, e capì: se fosse rimasta, sarebbe scomparsa per sempre. Le faceva male, ma non poteva più essere ciò che si aspettavano da lei.
Dopo il diploma, Giorgia preparò uno zaino. Lasciò un biglietto: «Mamma, vi amo, ma devo andare. Perdonatemi.» Con cinquecento euro, messi da parte facendo lavoretti, comprò un biglietto per Milano. Quella sera, seduta sul treno, pianse, sentendosi una traditrice. Ma nel suo petto batteva anche qualcosa di nuovo—la speranza. Voleva vivere, studiare, respirare, senza doversi voltare a guardare i corridoi degli ospedali. A Milano affittò un angolo in un dormitorio, trovò lavoro come cameriera, si iscrisse all’università da studentessa lavoratrice. Per la prima volta, si sentì una persona, non solo una funzione.
Elena non la perdonò. I primi mesi la chiamava, urlava, la supplicava di tornare. «Sei egoista! Matteo soffre senza di te!» — la sua voce tagliava Giorgia come un coltello. Mandava soldi quando poteva, ma non aveva intenzione di tornare. Con il tempo, le chiamate si fecero più rare, ma ogni messaggio era pieno di rimproveri. Giorgia sapeva che Matteo stava male, che sua madre era stremata, ma non poteva più portare quel peso. Voleva amare suo fratello da sorella, non da infermiera. Eppure, ogni volta che leggeva le parole di sua madre, si chiedeva: «Se fossi rimasta, chi sarei diventata?»
Ora Giorgia vive la sua vita. Ha un lavoro d’ufficio, amici, progetti per la magistrale. Ma l’ombra del passato non la abbandona. Le manca Matteo, il suo sorriso nei giorni buoni. Ama sua madre, ma non riesce a perdonarle l’infanzia rubata. Elena continua a scriverle, e ogni messaggio è un’eco di quella casa da cui Giorgia è fuggita. Non sa se un giorno potrà tornare, spiegarsi, riconciliarsi. Ma sa una cosa: quel giorno, sul treno che l’ha portata via da Verona, ha salvato se stessa. E questa verità, per quanto amara, le dà la forza di andare avanti.