Alessia non riusciva a trovare una giustificazione al modo in cui suo marito Luca permetteva a sua madre di intromettersi così brutalmente nella loro vita. Conosceva bene il dolore della sua infanzia, l’abbandono, le notti passate a tremare dal freddo mentre suo fratello maggiore, Marco, veniva coperto d’amore. Luca aveva vissuto con i vestiti strappati di Marco, ai margini del cuore di sua madre.
Perché ora, da uomo adulto, affermato, padrone della propria casa, permetteva a Maria Grazia di entrare come una regina, non come ospite ma come padrona, nella stanza che aveva sognato per il loro futuro bambino?
— È pur sempre mia madre, — sussurrava Luca, giustificandosi non solo con Alessia, ma con la propria coscienza. — Resisteremo ancora un po’. Tanto i bambini non ci sono ancora.
Cercava di smussare gli angoli, anche se dentro ribolliva. Finalmente viveva come aveva sempre sognato: una casa comprata con i suoi risparmi, una moglie che amava più della vita stessa, notti serene senza il terrore di essere dimenticato. E ora? Sua madre. Con le valigie, i rimproveri, le pretese su ciò che le “spettava”.
— Hai detto che questa stanza sarebbe stata per il bambino! — esplose Alessia, trattenendo a stento il tremore nella voce. — E invece tua madre ci si è installata. Senza chiedere, senza discutere.
Luca taceva. Sì, aveva comprato quella casa proprio per quelle due stanze — la camera da letto e quella per il bambino. Perché sognava una famiglia. Ma ora quel sogno era stato messo da parte, di nuovo. Come quando era piccolo.
Tutto tornava.
Ricordava il loro bilocale: Marco riceveva sempre il meglio — regali costosi, vestiti nuovi, torte elaborate per il compleanno. Lui, Luca, si sentiva dire storie su “i soldi che non bastano”, che la felicità era un lusso. Ricordava quando sua madre aveva speso gli ultimi soldi per una giacca a Marco, mentre a lui comprava scarpe usate al mercato. Era sempre stato l’ultima ruota del carro.
E ora lei era di nuovo lì. Diceva che sarebbe rimasta “solo qualche giorno”, ma aveva già sistemato le sue cose, dispensava consigli non richiesti, criticava Alessia — per come cucinava, puliva, persino per come si vestiva. E di nuovo, riaccendeva in Luca quel senso di colpa: non abbastanza, non all’altezza, mai abbastanza buono.
Alessia cercava di resistere. Ma sempre più spesso le scappavano le parole. Si lamentava con Luca: Maria Grazia spostava di proposito le sue cose, sostituiva il cibo sano nel frigo con sughi pesanti e carne fritta, persino l’acqua che beveva non andava bene.
— Lo fa apposta. Sono sicura che è tutto un dispetto, — diceva Alessia, le unghie che le affondavano nei palmi.
Luca provò a parlare con sua madre. La risposta fu:
— Cacciarmi dalla casa che hai comprato grazie alle mie preghiere? Io lascerò tutto a Marco, e voi due scappate da me come se fossi una mendicante! Ingrati!
Lui scrollò le spalle. Non gli importava di quell’appartamento. Ma quando Alessia — con la voce spezzata — gli mostrò i documenti trovati tra le cose di Maria Grazia, Luca non credette ai suoi occhi. Tutto era intestato a Marco: l’appartamento, il box, perfino quel pezzo di terra dove da bambino piantava patate. Tutte le promesse erano state bugie.
— A me cantava che tutto sarebbe stato mio. Che viveva per me. — Luca cadde pesantemente sulla poltrona.
Non pianse. Ma il suo silenzio spezzò il cuore di Alessia.
Il giorno dopo, uscì per lavoro senza una parola. Tornando la sera, scoprì che sua madre non c’era più. Le valigie erano fuori dal cancello, e negli occhi di Alessia bruciava la rabbia.
— L’ho cacciata io, Luca. Scusami se dovevamo parlarne prima, ma non ce la facevo più.
— Per i documenti? — chiese lui, esausto.
— Non solo. Quando le ho detto che sapevo la verità, mi ha chiamata “nessuno”. Ha detto che tu sei suo figlio, e io solo un’intrusa. Che questo è il tuo casa, quindi la sua. Che mi avresti lasciato non appena lei mi avesse smascherato.
Luca rimase in silenzio. Poi, per la prima volta nella vita, chiamò sua madre… una vipera. E non si scusò.
— E alla fine, — aggiunse Alessia, — ci ha maledetti. Me, te, il nostro futuro bambino. Ha detto che avremmo perso tutto.
Luca annuì. Troppo familiare. Troppo prevedibile.
Passarono mesi. Nella loro casa tornò la pace. Alessia aspettava un bambino. Luca non chiamò più sua madre né Marco. Li cancellò dalla sua vita. Perché non voleva più essere comodo a nessuno.
Ma un giorno, passeggiando con il passeggino dopo la nascita del piccolo, Alessia incontrò una vicina del loro vecchio quartiere. Le confessò: Maria Grazia era stata spostata da Marco. O meglio, lui l’aveva “sistemata”. In una casa di riposo. Non riuscivano a convivere. Litigavano da mesi, finché lui non le aveva impacchettato le cose e detto che non c’era posto per una madre capricciosa nella sua vita.
Alessia si bloccò. Il cuore le si strinse.
— Non deve saperlo, — sussurrò a sé stessa. — Non deve.
E tornata a casa, non disse nulla. Niente della casa di riposo. Niente delle telefonate che Maria Grazia faceva ai vicini, supplicando il numero di Luca. Niente.
Perché il suo Luca meritava pace, silenzio, e una felicità semplice. E se per questo doveva chiudere gli occhi davanti alla solitudine di un’altra, era pronta. Perché l’amore non è solo dolcezza. È anche confini.
E così vivono. In una casa dove la cameretta aspetta risate, e nella loro stanza non risuonano più bugie. Dove Maria Grazia non detta più le regole, e Alessia non serra più i denti dalla rabbia.
Vivono. Semplicemente. Come una vera famiglia.