**Diario della Resistenza**
Quando Luca e Ginevra si sposarono, entrambe le famiglie gioirono.
Elisa, la madre di Luca, si commosse persino davanti al municipio. Mentre Viola, la mamma di Ginevra, abbracciò il genero come se lo conoscesse da una vita.
Né Elisa né Viola avevano mariti. Entrambe avevano cresciuto i figli da sole, affrontando mille difficoltà.
Nonostante i caratteri opposti—una severa e determinata, l’altra più accomodante—si erano sempre trattate con rispetto. Non avvelenavano la felicità dei figli con drammi inutili.
I primi mesi, i novelli sposi affittarono un monolocale. Minuscolo, con un vicino fumatore e un cortile rumoroso. Ma almeno erano padroni di sé stessi.
Dopo sei mesi, a Ginevra venne un’idea. A Luca sembrò geniale e logica.
Due settimane dopo, ebbe luogo *quel* discorso. Con le madri…
***
«Mamma, non prenderla male. Io e Ginevra abbiamo pensato…»
Elisa lo guardò in silenzio. Era abituata alle sue idee stravaganti.
«Be’… tu hai un bilocale, Viola un trilocale. Noi affittiamo e paghiamo un occhio della testa. Vorremmo trasferirci nel trilocale.»
«Continua.»
«Tu e Viola… potreste vivere insieme. Lei potrebbe trasferirsi da te, e noi andremmo da lei. Così avremmo più spazio.»
Parlava come se spiegasse le regole di un gioco. Tranquillo. Senza dubbi.
«Per quanto?» chiese Elisa.
«Mah… finché non compriamo casa. Cinque anni? Dieci?»
Elisa non gridò. Non cambiò espressione. Disse solo:
«Ci penserò.»
E uscì in balcone. Rimase a lungo a fissare il cortile vuoto, sentendo un freddo lento e pesante salirle dal petto.
***
Il giorno dopo, Viola ascoltò la stessa proposta dalla figlia.
«Mamma, tu ed Elisa andate d’accordo. Non siete amiche, ma vi trattate bene. Perché non vivere insieme? Noi prenderemmo il tuo appartamento…»
Viola la interruppe.
«Vuoi affittare la mia vita?»
Ginevra rimase sorpresa.
«No, è solo che… voi avete già vissuto. Noi stiamo iniziando…»
«Ho già vissuto? Significa che per te sono finita?»
«Non hai capito…»
«Sì, ho capito. Grazie, tesoro.»
***
Una settimana dopo, decisero di parlare tutti insieme.
Elisa arrivò per prima. Poi Viola. Si sedettero di fronte ai giovani.
Loro sembravano seri. Quasi solenni.
«Mamme, non vogliamo litigare. Vi chiediamo solo di capirci. Noi facciamo fatica. Non abbiamo soldi. Vogliamo un figlio. Voi avete case grandi, noi affittiamo e paghiamo un patrimonio. Dov’è la logica? Per voi sarebbe così difficile?»
Elisa rispose per prima.
«Sì. Soprattutto quando tuo figlio ti considera… un ingombro.»
Viola proseguì:
«Figlioli, provate a capire anche voi. Ognuna di noi ha la sua vita. La sua quiete. Le sue abitudini. Non dobbiamo niente a nessuno e non ci piegheremo.»
«Ma siete sole! Insieme sarebbe meglio. Che problema c’è?» insistette Ginevra.
«L’amor proprio,» rispose Elisa, «e il diritto alla nostra vita.»
«Quindi non vi importa di noi?» La voce di Luca era ferita.
«Non è così,» disse Viola, «ma c’è differenza tra “aiutare” e “calpestarsi”. Voi chiedete il secondo.»
I giovani si scambiarono un’occhiata. Non si aspettavano questa fermezza.
Si aspettavano lacrime, urla, e alla fine un compromesso.
Invece ricevettero un «no» tranquillo e definitivo.
Quella sera, Elisa lavò i piatti con pazienza, come se cercasse pace in quel gesto.
Viola, invece, si dedicò a una pulizia straordinaria. Strofinò, riordinò, per non pensare.
Lavorando, la rabbia si sciolse in stanchezza.
No, non odiavano i figli. Ma dopo quel discorso, capirono: per loro non contavano più.
Erano solo fondamenta su cui camminare, senza guardare in basso.
Ai figli non importava che fossero persone. Con abitudini, solitudini e diritto a un proprio spazio.
***
Passò un mese.
Luca e Ginevra non riprovarono.
Affittarono un trilocale più grande, chiesero un prestito.
Si lamentavano, certo. Dei costi, delle bollette, di quanto fosse dura senza aiuto.
Ma non chiesero mai più alle madri di convivere.
Forse avevano capito. O forse si erano ravveduti dopo aver raccontato dei loro «capricci» sui social e aver letto i commenti. Quasi tutti iniziavano con: «Ma siete fuori?»
Elisa e Viola, invece, si avvicinarono. Andavano a teatro, scambiavano ricette. Non diventarono migliori amiche, ma alleate, sicuramente.
«Ti rendi conto?» rise una volta Viola, «ancora credono che non abbiamo capito la loro idea geniale.»
«Lasciali credere,» disse Elisa, «basta che non ricominciano.»
***
Ecco la storia.
Di come i figli crescano, ma non sempre maturino.
Di come le madri non siano mobili da spostare a piacere.
Di come il diritto a una vita propria non finisca a cinquant’anni—a volte, è proprio allora che ricomincia.
***
E voi?
Vi trasferireste con la suocera solo perché i figli non vogliono pagare l’affitto?