Mamma che cresce il suo bambino con amore mentre il marito si rifiuta di accettarlo.

Ogni mattina mi sveglio al suono delicato del pianto di Beatrice. È così piccola, così perfetta. Le sue ditina si stringono intorno alle mie quando la sollevo, e per un attimo sento che il mondo ha di nuovo un senso.

“Buongiorno, tesoro,” le sussurro mentre la prendo dalla sua culla. “Hai dormito bene?”

Dalla cucina sento i passi pesanti di Luca. È sempre stato un uomo di poche parole, ma da quando è nata Beatrice si è fatto ancora più distante.

“Parli di nuovo da sola?” chiede, fermo sulla porta, con quello sguardo indecifrabile.

“Non parlo da sola, parlo a Beatrice.”

Lui sospira, passandosi una mano tra i capelli.

“Giulia, dobbiamo parlare.”

“Dopo,” rispondo, cullandola dolcemente. “Prima devo darle da mangiare.”

Lo vedo allontanarsi, e per un attimo mi assale un senso di colpa. So che Luca sta affrontando qualcosa di difficile, ma Beatrice ha bisogno di me. È così fragile, così dipendente dalle mie cure.

Durante il giorno, mentre lui è al lavoro, io e Beatrice seguiamo la nostra routine. Le canto ninne nanne, la lavo con delicatezza, le leggo fiabe. Lei mi osserva con quei occhioni luminosi che sembrano capire ogni mia parola.

“Il tuo papà ti amerà,” le dico mentre le cambio il pannolino. “Ha solo bisogno di tempo per abituarsi.”

Quando Luca torna la sera, trovo sempre una scusa per portarla in unaltra stanza. Lui non la guarda, non chiede di lei. A volte lo sento piangere in bagno, e non capisco perché.

Una sera, dopo aver messo Beatrice a dormire, trovo Luca seduto sul divano con una foto tra le mani.

“Cosè?” chiedo.

Lui alza lo sguardo, gli occhi arrossati.

“Ti ricordi di questa?”

È lecografia. La nostra prima ecografia, otto mesi fa. Ricordo tutto: lemozione, i progetti, i nomi che scegliemmo insieme.

“Certo che me lo ricordo,” dico, sedendomi accanto a lui. “Era quando abbiamo scoperto che sarebbe arrivata Beatrice.”

Luca chiude gli occhi, e le lacrime gli scendono lungo le guance.

“Giulia Beatrice non cè.”

“Di che parli? Sta dormendo nella sua cameretta.”

“No, amore. Non cè nessuna cameretta. Non cè una culla. Non cè Beatrice.”

Mi alzo di scatto.

“Sei pazzo! Certo che cè! Lho appena messa a dormire!”

Corro verso la stanza, ma Luca mi segue. Quando apro la porta, lui accende la luce.

La stanza è vuota. Non cè la culla, non ci sono i pupazzetti appesi al soffitto, non cè la montagna di vestitini che credevo di aver lavato quella mattina. Solo scatole impolverate e vecchi mobili.

“Beatrice” sussurro.

“Abbiamo perso Beatrice sei mesi fa, Giulia,” dice Luca con la voce spezzata. “A trentadue settimane. Non ricordi? Il cordone ombelicale i medici dissero che non potevano fare niente.”

I ricordi tornano come schegge affilate: lospedale, i monitor muti, le mie braccia vuote.

“Ma io la tengo in braccio ogni giorno le do da mangiare mi sorride”

Luca mi abbraccia mentre crollo.

“Tieni in braccio una copertina, amore. Parlavi a una copertina. Ti ho vista cullarla, cambiarle il ‘pannolino’. Aspettavo che ti ricordassi, che tornassi da me.”

Guardo le mie braccia vuote e, per la prima volta in mesi, le sento davvero vuote. Il peso che credevo di sentire, i sussurri che credevo di udire, tutto svanisce come nebbia.

“Beatrice la mia Beatrice”

“So che fa male,” sussurra Luca. “Fa male anche a me, ogni giorno. Ma dobbiamo andare avanti insieme, senza di lei, ma insieme.”

Quella notte piango per la prima volta dal funerale che non ricordavo. Piango per la mia bambina che non è mai tornata a casa, per mio marito che mi ha vista perdermi in un sogno e ha aspettato paziente che tornassi, per tutti quei mesi rubati al vero dolore.

Ma piango anche di sollievo, perché finalmente posso iniziare a guarire.

E Luca è qui, ad aspettarmi, come sempre.

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