**Mamme Ribelli**
Quando Dario e Beatrice si sposarono, entrambe le famiglie gioirono.
Elena, la madre di Dario, si commosse persino davanti al municipio. Mentre Sofia, la mamma di Beatrice, abbracciò il genero come se lo conoscesse da una vita.
Né Elena né Sofia avevano mariti. Entrambe avevano cresciuto i figli da sole. Entrambe avevano vissuto molto.
Nonostante i caratteri diversi – una rigida e decisa, l’altra più dolce – si erano sempre trattate con rispetto. Non volevano costruire la felicità dei figli sulle tensioni altrui.
I primi mesi, i novelli sposi affittarono un monolocale. Piccolo, con un vicino fumatore al di là del muro e un cortile rumoroso. Ma almeno erano padroni di sé stessi.
Dopo qualche mese, a Beatrice venne un’idea. A Dario parve magnifica e perfettamente ragionevole.
Due settimane dopo, avvenne quel famoso discorso. Con le madri…
***
— Mamma, non prendertela male. Io e Beatrice abbiamo pensato…
Elena fissò il figlio in silenzio. Aspettava. Era abituata alle sue idee stravaganti.
— Beh… tu hai un bilocale, Sofia un trilocale. Noi viviamo in affitto, paghiamo tanto e non stiamo comodi. Vorremmo trasferirci nel trilocale.
— Continua.
— Tu e Sofia… potreste vivere insieme. Lei verrebbe da te, e noi andremmo da lei. Lì c’è più spazio.
Parlava come se spiegasse le regole di un gioco da tavola. Calmo. Senza un briciolo di dubbio.
— Per quanto? — chiese Elena.
— Mah… finché non compriamo casa. Magari cinque anni. O dieci.
Elena non gridò. Non cambiò espressione. Disse solo:
— Ci penserò.
E uscì sul balcone. Rimase lì a lungo, a guardare il cortile vuoto, sentendo un freddo lento e denso salirle dal petto.
***
Il giorno dopo, Sofia sentì la stessa proposta dalla figlia.
— Mamma, tu ed Elena vi intendete. Non siete amiche, ma vi parlate, no? Allora perché non vivere insieme? Noi verremmo qui, nella tua casa…
Sofia la interruppe.
— Mi stai chiedendo di affittare la mia vita?
Beatrice sussultò.
— No! È solo che… voi avete già vissuto. Noi stiamo iniziando…
— Già vissuto? Quindi per te sono già da buttare?
— Non mi hai capita…
— No, cara. Ho capito benissimo. Grazie.
***
Una settimana dopo, decisero di parlarne tutti insieme.
Elena arrivò per prima. Poi Sofia. Si sedettero di fronte agli sposi.
Loro sembravano seri. Quasi solenni.
— Mamme, non vogliamo litigare. Vi chiediamo solo di capirci e di aiutarci. Per noi è difficile. Non abbiamo soldi. Vorremmo un figlio. Voi avete entrambe una casa. Noi invece paghiamo un affitto salato. Dov’è la logica? Davvero vi sembra così impossibile vivere insieme?
Elena rispose per prima.
— Sì, impossibile. Soprattutto quando tuo figlio ti fa sentire… d’intralcio.
Sofia aggiunse:
— Figlioli, provate a capire anche voi. Ognuna di noi ha la sua vita. La sua pace. Il suo ritmo. La sua casa. Non dobbiamo niente a nessuno e non siamo obbligate ad adattarci.
— Ma siete entrambe sole! Insieme sarebbe più allegro. Che vi frena? — insistette Beatrice.
— L’amor proprio — disse Elena — e il diritto di avere una vita propria.
— Quindi non vi importa di come viviamo? — la voce di Dario tremò di rancore.
— Ci importa — rispose Sofia — ma c’è una differenza tra “aiutare” e “calpestarsi”. Voi ci chiedete il secondo.
I giovani si scambiarono un’occhiata. Evidentemente, non se l’aspettavano.
Si aspettavano proteste, lacrime. Poi un compromesso.
Invece ricevettero un “no” fermo e pacato.
Quella sera, Elena lavò i piatti lentamente, con cura. Ogni cucchiaio. Come se cercasse pace in quel gesto semplice.
Sofia, con lo stesso intento, si mise a pulire freneticamente. StrofE quella notte, mentre la luna illuminava silenziosa le loro finestre, entrambe sognarono la stessa cosa: una casa vuota, senza richieste, senza compromessi, dove finalmente respiravano libere.