Mangia il mio dolore

Ecco la storia adattata alla cultura italiana:

Meno di tutto, Giulia ama lavorare con i bambini. È complicato, noioso e rischioso. Lo spazio delle possibilità attorno a un bambino non è ancora definito, e il rischio di attirare eventi indesiderati è troppo alto.

Un bambino è sempre nel campo bioenergetico della madre, quindi bisogna lavorare anche con lei. E poi, i bambini adorano fantasticare. Chi non ha sognato di avere poteri magici da piccolo? O inventato un amico immaginario? Ogni parola di un “piccolo cliente” va verificata, il che rende tutto più faticoso.

Quando Giulia vide sulla porta una donna vestita di nero, con labbra rosso sangue e ombretto blu scuro, la strega non batté ciglio. Gente stravagante ne incontra spesso. Ma il ragazzino di dieci anni che si nascondeva dietro di lei, impaurito, la mise in allerta. Stava per dire che non lavorava con i bambini, quando la signora la interruppe con tono autoritario:

“Siamo prenotati. Io sono Annamaria, ho scritto ieri. Avevo il gattino nella foto del profilo, ricordi?”

Il gattino, quello sì che lo ricordava.

“Allora, entrate pure.”

“Magari i problemi sono di Annamaria e il ragazzino è qui solo perché non aveva con chi lasciarlo?” pensò la strega, osservando la cliente. Annamaria era una donna formosa, ancora avvenente sui quarantacinque. Del tipo che definiscono “nel fiore degli anni”. Si era truccata in modo vistoso, quasi volgare, i polsi carichi di braccialetti che tintinnavano a ogni gesto. E gesticolava tanto, con veemenza. Il nero… ma perché? Voleva sembrare misteriosa? Era in lutto? In ogni caso, indossava quel nero con un piacere malcelato, come per mettersi in mostra. “Una che ama il teatro. E ora tocca a me fare da spettatrice,” capì Giulia.

“Mio marito è morto,” esordì la donna con tono tragico. Tirò fuori un fazzoletto e si asciugò gli occhi perfettamente asciutti.

“Mi dispiace,” rispose la strega con educazione, “ma non faccio sedute spiritiche. Lo trovo pericoloso e inutile.”

Visto che non otteneva la reazione sperata, la signora cambiò approccio.

“Nella mia famiglia ci sono sempre stati stregoni,” sussurrò con voce drammatica. “La mia bisnonna faceva magie, e la cugina di settimo grado…”

“Fammi indovinare, faceva magie anche lei?” Giulia fece uno sforzo immane per trattenere un sorriso sarcastico. Negli ultimi anni, il numero di “streghe” e “sciamani” che si presentavano a casa sua aveva raggiunto livelli assurdi. Se si scava, in ogni famiglia c’è qualcuno che ha provato a fare un rituale.

“Insomma, nella nostra famiglia c’è un Dono. Si tramanda di generazione in generazione. Io, per fortuna,” fece un gesto scaramantico, ma Giulia colse la delusione nei suoi occhi, “ne sono stata risparmiata. Invece mio figlio Luca…” si illuminò di un orgoglio inspiegabile, “vede i fantasmi!”

“Vede i fantasmi, eh? Non è un buon segno.” Giulia aveva diverse ipotesi. Prima e più probabile: l’esordio di una schizofrenia. Non capiva perché i genitori portassero i bambini con allucinazioni dagli esoteristi invece che dagli psichiatri. Seconda opzione: in famiglia c’era davvero un “Dono”. Di solito, però, era solo un’entità negativa che si tramandava di generazione in generazione.

“Raccontale del fantasma!” impose la madre. Luca iniziò a parlare a malincuore, solo perché glielo avevano chiesto.

“Non fantasmi, un fantasma. Ogni notte viene da me mio papà…”

Si fermò e guardò la mamma con aria supplichevole, come per dire: “Ho finito, possiamo andare?”. Lei ignorò quello sguardo, raddrizzò le spalle con fierezza, come chi vuole vantarsi del figlio prodigio mostrando pagelle e diplomi.

“Una legame con i defunti? O è solo psicologico? Il bambino soffre per il padre e…” Giulia si bloccò. Dietro il ragazzino c’era una sagoma scura. Non il padre. La creatura la fissava senza batter ciglio. Un brivido le corse lungo la schiena, ma rimase impassibile. Probabilmente, il bambino aveva davvero un’ombra addosso. La situazione era più grave del previsto.

“Sai, ho pensato: nello show ‘Mistero’ non hanno mai avuto un bambino medium! Sarebbe un successo pazzesco!”

Luca si rannicchiò sulla sedia, spaventato, pentendosi di aver aperto bocca. Eh sì, Annamaria amava gli spettacoli più di quanto Giulia avesse immaginato.

“La sua energia è molto forte. E l’aura… troppo densa. Per esaminare suo figlio, devo restare sola con lui,” disse la strega, sbrigandosi a cacciare la madre fuori. “Faccia una passeggiata, torni tra un’oretta.”

Annamaria si offese un po’, ma alle parole “energia” e “aura” annuì comprensiva. Luca rimase solo con Giulia. All’inizio non voleva parlare. Era chiuso, rigido, sgranchiva la schiena e sgranocchiava un biscotto. Rispondeva a monosillabi, con l’aria di dire: “Lasciami stare, strega. Non sono affari tuoi!”

Era tutto troppo personale, troppo doloroso. Giulia lo guidò con delicatezza. Niente domande sul padre. Chiese della scuola, degli amici, delle ragazzine. Per venti minuti Luca resistette, poi si sciolse, arrossì e abbassò le difese. Evidentemente, gli adulti si interessavano poco a lui, e qualsiasi attenzione gli faceva piacere.

Giulia chiuse gli occhi, si concentrò sulla sua voce e iniziò a vedere cos’era realmente successo a Luca.

***

Luca amava suo padre più di chiunque al mondo. Nessuno nel quartiere aveva un papà come il suo. Giocavano con i soldatini, andavano in pattini, e suo padre gli aveva insegnato a nuotare nel fiume e a fare trucchi di magia. Quando i suoi genitori litigavano, Luca stava sempre dalla parte del padre, anche quando dimenticava qualcosa o sbagliava. Gli perdonava tutto, perché gli comprava palloncini e zucchero filato.

Quando a scuola assegnarono un tema sul “mio migliore amico”, Luca scrisse del padre. La maestra Maria lo chiamò dopo la lezione: “Non hai proprio amici, se scrivi di tuo padre?”. Luca non rispose, ma pensò: “Che sciocca che sei, maestra Maria! Ho tanti amici: Matteo, Riccardo, Gabriele. Ma il mio amico più grande è mio padre.”

…Quando suo padre morì in un incidente, la madre pianse disperata. Si strappava i capelli, si rotolava per terra, urlava che non poteva vivere senza di lui. Al funerale quasi si buttò nella bara. La sera ululava come un cane ferito.

Luca non riusciva a piangere. O meglio, piangeva, ma dentro. Divenne silenzioso, chiuso. Pensava sempre che quel giorno suo padre lo aveva invitato a pescare. Lui aveva rifiutato per uscire con gli amici. “Se fossi andato, non sarebbe passato da quella strada,” pensava. “Forse non sarebbe successo nulla.”

Quel pensiero lo divorava, lo svuotava. A volte non aveva nemmeno la forza di alzarsi dal letto. Il dolore era una montagna nera che lo schiacciava. Dopo due mesi, la madre si riprese. Smise di piangere e iniziò a uscire con un collega, lo zio Marco. Luca lo odiò con tutto se stesso, senzaDopo un lungo silenzio, Giulia sospirò e sussurrò al bambino: “Forse è giunto il momento di dire addio a quel fantasma, Luca, e ricordare tuo padre solo con il sorriso che ti ha lasciato nel cuore.”

Rate article
Add a comment

;-) :| :x :twisted: :smile: :shock: :sad: :roll: :razz: :oops: :o :mrgreen: :lol: :idea: :grin: :evil: :cry: :cool: :arrow: :???: :?: :!:

3 × two =

Mangia il mio dolore