«Mangia tu stesso questa schifezza»: come mia sorella mi ha umiliata davanti a tutti per una torta
Ginevra aveva sistemato con cura i capelli, indossato il suo vestito più elegante e, dopo una leggera spruzzata di profumo, era partita per il compleanno della sorella maggiore, Beatrice. Teneva tra le mani una scatola ben incartata con dentro una torta, sperando che fosse una piacevole sorpresa e che migliorasse i loro rapporti complicati. Arrivata al quinto piano, Ginevra suonò due volte. La porta si aprì, e Beatriceraggiante, con un nuovo accappatoio e i ricci perfettiesclamò entusiasta:
«È per me?! Immagino tu non abbia dimenticato il mio compleanno, vero?»
«Certo che è per te,» rispose Ginevra con calma, porgendole la scatola.
Beatrice prese la torta con curiosità, sollevò il coperchio e vi diede unocchiata. Sulla sua faccia, lammirazione lasciò presto il posto al sospetto.
«Lhai fatta tu?»
«Sì,» rispose Ginevra con un leggero esitare.
«Sicura?» Beatrice aggrottò le sopracciglia, girando la scatola tra le mani. «E con cosa lhai fatta?»
«Davvero vogliamo parlare della ricetta, o raggiungiamo gli ospiti?» tentò di evitare Ginevra.
Ma era troppo tardi. Beatrice sentiva che qualcosa non andavae a ragione. Tre giorni prima, aveva chiamato la sorella in lacrime:
«Mi sono rotta lunghia e ho litigato con Matteo. Non ne posso più! Cancella la torta, cancella tutto!»
Ginevra aveva preso la notizia con filosofia e accettato un ordine urgente da una cliente abituale. Ma proprio a pranzo, Beatrice aveva richiamato:
«Ci siamo riconciliati! Mi ha regalato un braccialetto doro! Ti aspetto alle settecon la torta!»
«Avevi cancellato tutto» balbettò Ginevra.
«Basta scuse! Sei una pasticcera, dimostra cosa sai fare!»
Ginevra aveva cercato di spiegare che una torta non si prepara in sei ore, ma Beatrice aveva insistito. Aveva persino chiamato la madre, sperando in un po di sostegno:
«È davvero così difficile fare un piacere a tua sorella?» aveva sentito rispondere.
Capendo di essere sola, Ginevra si era arrangiata: aveva comprato una torta invenduta da una pasticcera poco conosciuta, Ginevra (no, non lei, unaltra). Esternamente, sembrava perfetta. Lintenzione contava, no? Ma Beatrice capì subito linganno.
«Ginevra, vieni qui!» gridò verso la cucina.
Una bruna dai capelli lunghi apparve, e Ginevra la riconobbe allistante.
«È la tua torta?» chiese Beatrice con tono gelido.
«La mia. Lei me lha comprata. Quindi questa è la tua famosa sorella pasticcera?» sogghignò laltra Ginevra.
Ginevra si bloccò. Gli ospiti tacquero. Beatrice, con le labbra strette, strappò il coperchio, immerse un dito nella cremae lo schiacciò violentemente in faccia alla sorella.
«Mangia tu stessa questa schifezza!» sbottò. «Non hai neanche avuto la dignità di fare qualcosa di tuo. Per favore, vai via!»
Spinse Ginevra fuori prima di fare lo stesso con laltra pasticcera. Questultima, andandosene, insultò tutta la casa e fece un gesto volgare.
Fuori, Ginevra si pulì la faccia con delle salviette e aprì il telefono. Decine di messaggi della madre laspettavano:
«Disonori la famiglia! Ingannare tua sorella! Non hai vergogna?»
Non rispose. Spense semplicemente lo schermo in silenzio. Ma non era finita.
Il giorno dopo, un post di Beatrice apparve sui social: «Non fidatevi neanche di vostra sorellami ha portato una torta comprata da unaltra, spacciandola per sua. Che vergogna.»
Ginevra pianse tutta la mattina. Poi si riprese. No, per loro. Per sé. Quel giorno, fece un giuramento: nemmeno una torta per la famiglia. Nessun altro gesto di buona volontà verso chi può schiacciarti in un attimo.
E per la prima volta da tanto tempo, si sentì più leggera. Perché ora la sua vita avrebbe contenuto solo ciò che è davvero dolce. Senza falsità. Senza ipocrisia. E senza chi si dice famiglia.





