«Mangia tu questa schifezza»: come mia sorella mi ha umiliata davanti a tutti per una torta
Ginevra aveva sistemato con cura i suoi capelli, indossato il vestito più elegante e, dopo una leggera spruzzata di profumo, era partita per il compleanno di sua sorella maggiore, Isabella. Teneva tra le mani una scatola ben impacchettata contenente una torta, sperando che fosse una piacevole sorpresa e che avrebbe ammorbidito i loro rapporti complicati. Arrivata al quinto piano, Ginevra suonò due volte il campanello. La porta si aprì, e Isabella raggiante, con un nuovo accappatoio e i boccoli perfetti esclamò con entusiasmo:
«È per me?! Immagino che tu non abbia dimenticato il mio compleanno!»
«Certo che è per te», rispose Ginevra con calma, porgendole la scatola.
Isabella prese la torta con curiosità, sollevò il coperchio e vi gettò unocchiata. Sul suo volto, lammirazione lasciò presto il posto al sospetto.
«Lhai fatta tu?»
«Sì», rispose Ginevra con un lieve esitazione.
«Sicura?» Isabella aggrottò le sopracciglia, rigirando la scatola tra le mani. «E con cosa è fatta?»
«Dobbiamo davvero parlare della ricetta, o ci uniamo agli ospiti?» tentò di evitare Ginevra.
Ma era troppo tardi. Isabella sentiva che qualcosa non andava e a ragione. Tre giorni prima, aveva chiamato sua sorella in lacrime:
«Mi sono rotta lunghia e ho litigato con Matteo. Non ho più voglia di nulla! Cancella la torta, cancella tutto!»
Ginevra aveva preso la notizia con filosofia e accettato un ordine urgente da una cliente abituale. Ma proprio a pranzo, Isabella aveva richiamato:
«Ci siamo riconciliati! Mi ha regalato un braccialetto doro! Ti aspetto alle sette di sera con la torta!»
«Avevi cancellato tutto», borbottò Ginevra.
«Smettila di cercare scuse! Sei una pasticcera, dimostra cosa sai fare!»
Ginevra aveva cercato di spiegare che una torta non si prepara in sei ore, ma Isabella aveva insistito. Aveva persino chiamato la loro madre, sperando in un po di sostegno:
«È davvero così difficile fare un piacere a tua sorella?» aveva sentito rispondere.
Capendo di essere sola, Ginevra si era arrangiata: aveva comprato una torta invenduta da una pasticcera poco conosciuta, Ginevra (no, non la stessa, unaltra). Esternamente, sembrava perfetta. Lintenzione contava, no? Ma Isabella scoprì presto linganno.
«Ginevra, vieni qui!» gridò verso la cucina.
Una bruna dai capelli lunghi apparve, e Ginevra la riconobbe allistante.
«È la tua torta?» chiese Isabella con un tono gelido.
«La mia. Me lha comprata. Quindi questa è la tua famosa sorella pasticcera?» sogghignò laltra Ginevra.
Ginevra si bloccò. Gli ospiti tacquero. Isabella, con le labbra serrate, strappò il coperchio, infilò un dito nella crema e lo schiaffò violentemente sul viso della sorella.
«Mangia tu questa schifezza!» sibilò. «Non hai nemmeno avuto la decenza di fare qualcosa di tuo. Per favore, vattene!»
Spinse Ginevra fuori dalla porta, poi fece lo stesso con laltra pasticcera. Questultima, andandosene, insultò tutti e fece un gesto volgare.
Fuori, Ginevra si asciugò il viso con delle salviette e aprì il telefono. Decine di messaggi di sua madre lattendevano:
«Disonori la famiglia! Ingannare tua sorella! Non hai vergogna?»
Non rispose. Spense semplicemente lo schermo in silenzio. Ma non era finita.
Il giorno dopo, un post di Isabella apparve sui social: «Non fidatevi nemmeno di vostra sorella mi ha portato una torta comprata altrove, facendola passare per sua. Che vergogna.»
Ginevra pianse tutta la mattina. Poi si riprese. No, per loro. Per sé. Quel giorno, fece un giuramento: non unaltra torta per la famiglia. Nessun altro gesto di buona volontà verso chi può schiacciarti in un attimo.
E per la prima volta dopo tanto tempo, si sentì più leggera. Perché da ora in poi, la sua vita avrebbe contenuto solo ciò che è davvero dolce. Senza finzioni. Senza ipocrisia. E senza chi si definisce famiglia.






