Maria, corri! Ho appena visto tua nuora al supermercato!

“Maria, presto! Sono appena stato al negozio e ho visto tua nuora. Stava comprando veleno per topi. Due confezioni! Dice che ci sono i topi in casa. Ma io so bene che non hai nessun topo!” A Maria vennero le gambe molli. Ecco cos’era! Così aveva deciso di mettere le mani sulla casa.

“Barone, amico mio,” sospirò la donna uscendo in cortile con una ciotola di polenta. “Siamo rimasti solo noi due in questo mondo.”

Il cane alzò il muso, leccò riconoscente la mano della padrona e si allontanò con la ciotola. Maria Antonietta aveva sessantacinque anni, ma sembrava più giovane robusta, ben piantata, con i capelli grigi ben pettinati.

Solo gli occhi tradivano il dolore vissuto vi si era fermata una tristezza così profonda che faceva male guardarli.

Sei mesi prima, Ettore era morto in un incidente in moto. Aveva comprato quel “cavallo d’acciaio” per il suo quarantesimo compleanno, diceva fosse un sogno di sempre. Maria aveva cercato di dissuaderlo, ma come si fa a dire di no a un figlio? E un mese dopo la chiamata dall’ospedale. Non era riuscito a controllare la moto in una curva.

Dopo il funerale, Natalia aveva preso Andrea ed era andata dai suoi genitori in città. All’inizio chiamava, lasciava parlare il bambino con la nonna, poi aveva cominciato a rispondere sempre meno.

Maria aveva provato a insistere per incontrarli per legge aveva diritto di vedere il nipote. Ma Natalia ora diceva che il bambino era malato, ora che era troppo impegnata.

Poi aveva addirittura cambiato numero di telefono. Maria era andata all’indirizzo i vicini dissero che Natalia e i genitori avevano venduto l’appartamento e si erano trasferiti in un’altra città. Dove nessuno lo sapeva.

“Ehi, Maria!” risuonò una voce dal cancello. “Sei ancora viva?”

Era il vicino Pietro Vincenzo, un vedovo vivace di sessant’anni. Lui e il defunto marito erano stati amici, e quando questi era morto, Pietro si era preso cura della vicina.

“Viva, Pietro, dove vuoi che vada,” sorrise Maria. “Vieni, prendiamo un caffè.”

“E quando trovo il tempo per fare i caffè con te,” scosse la testa il vicino. “Devo andare in città, in farmacia e a fare la spesa. Ti serve qualcosa?”

“Grazie, ho tutto.”

“E va bene. Ma lo so come sei te ne stai qui come un gufo, senza mai uscire. Non va bene, Maria. Bisogna vivere.”

Pietro se ne andò e Maria rientrò in casa. Nell’ingresso, alle pareti, c’erano le fotografie tutto la sua vita, come sul palmo della mano.

Eccola giovane con il marito alle nozze, ecco Ettore che fa i primi passi, ecco il figlio ormai adulto con la moglie e il piccolo Andrea. Tutti sorridono, felici.

La donna sospirò profondamente e andò in cucina. Il giorno sembrava non finire mai. Accese la televisione, ma non riusciva a guardare tutto le sembrava estraneo e inutile.

Prese a lavorare a maglia, ma le mani non ubbidivano. Alla fine andò a letto prima, sperando che nel sonno trovasse oblio.

“Mamma, mamma!”

Maria aprì gli occhi. Davanti a lei c’era Ettore giovane, sorridente, con quella camicia a quadri che gli aveva regalato per il compleanno.

“Ettore!” singhiozzò la donna. “Figlio mio!”

“Non piangere, mamma. Sono venuto per avvertirti. Stai attenta. Il male è qui, molto vicino. Fai attenzione.”

“Cosa dici? Che male? Ettore!”

Ma il figlio si stava già dissolvendo nella nebbia dell’alba. Maria si svegliò in lacrime. Fuori stava albeggiando, i galli cantavano a squarciagola. Il sogno era stato così vivido, come se Ettore fosse davvero venuto.

La donna si alzò, si lavò il viso con acqua fredda e uscì nel cortile. L’aria del mattino era fresca e limpida. In lontananza, oltre il fiume, si alzava la nebbia. Una bellezza che stringeva il cuore.

“Nonna Maria! Nonna Maria!”

Al cancello correva una bambina di nove anni Valeria, nipote di un’amica di Maria defunta. I genitori della bimba erano morti in un incidente stradale due anni prima, e viveva in un orfanotrofio locale.

Maria la visitava spesso, le portava dolci, la aiutava con i compiti.

“Valeria, sole mio! Così presto?”

“Ci portano a raccogliere patate nel campo del contadino. Sono venuta a salutarti. Tornerò presto.”

“Aspetta,” Maria entrò in casa e tornò con un sacchetto. “Ecco, prendi. Ci sono focacce ripiene di verza, mele del giardino e caramelle. Condividile con gli altri bambini.”

“Grazie!” La bambina abbracciò forte la donna. “Ti voglio tanto bene!”

“Anch’io ti voglio bene, piccola. Stai attenta.”

Valeria se ne andò e Maria la guardò a lungo. Quante volte aveva pensato di prendere la bambina con sé! Ma a una donna anziana e sola non danno l’affidamento.

Ci vuole una famiglia completa, dicevano all’ufficio dei servizi sociali, un redditostabbbile, certificati medici. E che famiglia aveva lei?

La giornata passò tra le solite faccende. Maria strappò le erbacce dall’orto, diede da mangiare alle galline, preparò il pranzo. A sera era stanca e andò a letto presto. E il sogno tornò.

Questa volta Ettore era al cancello e agitava le mani, come per fermare qualcuno.

“Non far entrare!” gridava. “Mamma, non far entrare in casa! Pericolo!”

Maria si svegliò per il bussare alla porta. Erano le undici di sera. Chi poteva venire a quell’ora?

“Chi è?” chiese senza aprire.

“Maria Antonietta, sono io, Natalia. Aprite, per favore!”

L’ex nuora? Maria aprì sorpresa. Sulla soglia c’era Natalia scarmigliata, con una grande borsa in mano, i vestiti sgualciti.

“Scusate l’ora. Sono nei guai la casa è bruciata. Completamente. Sono riuscita a malapena a scappare.”

“Dio mio! E Andrea? Dov’è Andrea?”

“Con i miei genitori. Sono andati al mare a riposarsi, lo hanno portato con loro. Maria Antonietta, posso stare qui da voi? Solo per poco, fino a che non trovo una sistemazione.”

Maria la guardò attentamente. Natalia non era mai stata affettuosa con la suocera, e dopo la morte di Ettore aveva evitato ogni contatto. E ora si presentava a mezzanotte.

“Non far entrare in casa!” Le tornarono in mente le parole del figlio nel sogno.

Ma come non far entrare? Una persona in difficoltà, per giunta un’ex nuora.

“Entra,” sospirò Maria. “La camera di Ettore è libera.”

I primi giorni Natalia si comportò bene. Aiutava in casa, preparava il pranzo, andava persino a fare la spesa. Maria cominciò a pensare di aver sbagliato a sospettare di lei. Forse il dolore l’aveva cambiata.

“Che bello qui da voi, Maria Antonietta,” diceva Natalia a cena. “Tranquillo, pacifico. In città c’è sempre trambusto, qui una benedizione.”

“La casa è grande, c’è posto per tutti,” rispose Maria. “Resta quanto ti serve.”

Ma dopo una settimana Natalia cominciò a cambiare. Smise di aiutare, passava le giornate sul divano con il telefono

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