Non ci fu matrimonio. Lo sposo non arrivò dalla sposa.
Quante ragazze, fin da bambine, sognano un abito bianco, una corona di fiori, i brividi alla frase “vi dichiaro marito e moglie”… Angela era una di queste. Cresciuta timida, modesta, sognatrice e sensibile. Quante volte chiudeva gli occhi mentre in televisione trasmettevano cerimonie nuziali, immaginando il giorno in cui anche lei avrebbe camminato a braccetto con l’amato, tra musica, sguardi ammirati e un tremore nel cuore.
Il suo Davide lo aveva incontrato all’università. Studiavano entrambi giurisprudenza, ma in gruppi diversi. Lui alto, biondo, atletico, con uno sguardo vivace. Lei elegante, slanciata, con un portamento regale e un sorriso dolce. Tutta la facoltà diceva che erano fatti l’uno per l’altra. Davide non la lasciava mai sola. L’accompagnava a casa, le portava caffè nelle mattine fredde, disegnava cuori sui suoi quaderni. La loro storia sembrava uscita da un romanzo: pura, tenera, sincera.
Trascorso un anno, lui le chiese di sposarlo. Alla discussione della tesi, i genitori già si conoscevano, andavano insieme in campagna, le famiglie erano legate. Decisero di sposarsi subito dopo la laurea. Tutto procedeva perfettamente. Angela, con le amiche, passò settimane a cercare l’abito, sfogliando cataloghi e visitando atelier. Una notte, vide in sogno quello dei suoi desideri: pizzo finissimo, seta color crema, uno strascico leggero. Si svegliò con una certezza: “Quello sarà il mio vestito”.
Corse in un atelier vicino con le amiche. La commessa, Maria, ascoltò la sua descrizione e sorrise.
“Qualcuno ha appena restituito un abito identico a quello che hai detto. Vuoi vederlo?”
Angela se ne innamorò subito, senza nemmeno provarlo. Sembrava tessuto dai suoi sogni. Un’amica le sussurrò: “Maria ha detto che il matrimonio di quell’altra sposa non si è celebrato… Forse è meglio evitarlo?” Ma Angela non volle sentire ragioni. Se era destino, doveva accettarlo. L’abito fu imballato, e lei aspettò il grande giorno con il cuore in gola.
La vigilia delle nozze, si fermò in una camera d’albergo per prendersi un momento di solitudine. Indossò ancora una volta il vestito, si ammirò allo specchio. Per un attimo, le parve di vedere sul suo capo un nastro nero. Un brivido la scosse, ma lo ignorò, attribuendolo all’emozione.
La mattina dopo, tutto filò liscio: trucco, acconciatura, l’abito… Angela sembrava uscita da un quadro. I genitori, entrando nella stanza, rimasero senza fiato. Mancava solo Davide. Passò un’ora. Poi altri trenta minuti. Angela smise di sorridere. Dalla finestra vide una macchina della polizia. Sentì qualcosa spezzarsi dentro di lei. Uscì nel corridoio, reggendosi a malapena in piedi.
“Scusi… è Angela?” chiese un giovane agente. “Il suo fidanzato… Davide… è morto. Incidente stradale. Un ubriaco ha invaso la corsia opposta. È spirato sul colpo.”
Angela non pianse. Rimase immobile. Poi si sedette a terra e si coprì il volto con le mani.
Tre giorni dopo, era al cimitero, con lo stesso abito, ma questa volta con un nero fazzoletto in testa. Tra le dita stringeva una loro foto. La depose nella bara, si chinò, baciò la fronte gelata dell’amato e sussurrò:
“Perdonami… se avessi saputo, non ti avrei lasciato andare…”
Da allora, nessuno la vide più sorridere. Era come se si fosse spenta. Viveva come un automa. I genitori dicevano che fosse depressione. I medici, un disturbo dell’adattamento. Ma sua madre sapeva: sua figlia se ne stava andando, lentamente.
Un anno esatto dopo, nel giorno che avrebbe dovuto essere il loro anniversario, il cuore di Angela si fermò. I dottori scrissero “morte cardiaca nel sonno”. Tra le sue mani stringevano ancora quella foto di nozze.
L’amore era stato vero. Troppo vero per sopravvivergli.
E voi, credete che l’amore possa essere così forte da non poter vivere senza?