Matrimonio Nascosto

**Matrimonio di Convenienza**

Stefano camminava lungo il marciapiede della stazione, godendosi il tiepido sole primaverile. Il giovane uomo aveva passato sette anni lontano da casa, a lavorare come boscaiolo in montagna. Ora, finalmente, con un bel gruzzolo di euro in tasca e tanti regali per la madre e la sorella, stava tornando a casa.

“Ragazzo, dove vai? Ti do un passaggio!” sentì una voce familiare alle sue spalle.

“Nonno Vincenzo! Non mi riconosci?” esclamò Stefano, sorridendo.

Il vecchio si coprì gli occhi con una mano e socchiudendoli osservò il giovane con attenzione.

“Sono io, Stefano! Davvero sono cambiato così tanto?”

“Stefinò! Che bella sorpresa! Avevamo perso le speranze di rivederti! Avresti potuto almeno mandare un messaggio…”

“Ero in un posto così isolato che le lettere arrivavano raramente. Come stanno tutti? Mamma, Lucia, tutto bene? Mia nipote sarà già a scuola, immagino?”

Il vecchio abbassò lo sguardo e sospirò pesantemente.

“Allora non sai niente… Le cose vanno male, Stefinò. Molto male… È quasi tre anni che tua madre non c’è più. Lucia ha iniziato a bere e poi ha abbandonato la piccola Anita ed è sparita.”

“E Anita? Dov’è?” Il viso di Stefano si fece improvvisamente serio.

“Lucia l’ha lasciata chiusa in casa d’inverno, e non ce ne siamo accorti subito. Dopo tre giorni, la mia Maria ha sentito dei rumori ed è andata a controllare… quella poverina era alla finestra, piangendo e chiedendo aiuto.”

Hanno portato Anita prima in ospedale, poi in un orfanotrofio.

Il viaggio proseguì in silenzio. Vincenzo decise di lasciare Stefano ai suoi pensieri, senza intromettersi. Dopo mezz’ora, il carretto si fermò davanti a un cortile abbandonato. Stefano guardò le erbacce alte senza riconoscere la sua casa. Gli vennero le lacrime agli occhi.

“Non abbatterti, Stefinò. Sei giovane e forte, sistema tutto in fretta. E poi, vieni da noi. Riposati, pranziamo insieme. Maria sarà felice di vederti,” propose il vecchio.

“Grazie, ma voglio restare qui. Stasera verrò a trovarti.”

Stefano passò tutta la giornata a ripulire il cortile, e quella sera arrivarono gli ospiti: nonno Vincenzo e sua moglie, nonna Clara.

“Stefanino! Come sei cresciuto! Un vero bell’uomo!” esclamò la vecchia, abbracciandolo. “Abbiamo portato la cena. Mangiamo insieme e poi ti aiutiamo a sistemare la casa. Che bello che sei tornato!”

“A proposito… sapete qualcosa di Lucia? Com’è possibile? Era sempre una ragazza perbene…” chiese Stefano a cena.

“No, nulla. La poverina non ce l’ha fatta. Prima ha perso il marito, poi la madre… troppo dolore per le sue spalle fragili. E di Anita cosa farai? Potresti prenderla con te? Sei suo zio, dopotutto,” disse nonna Clara.

“Non lo so… prima sistemo la casa, poi andrò a trovarla. Ma io per lei sono uno sconosciuto…”

Una settimana dopo, Stefano decise di recarsi in città per vedere Anita. Lungo la strada, entrò in un negozio di giocattoli. Una ragazza bruna e sorridente lo accolse con gentilezza.

“Posso aiutarla?”

“Sì, non capisco niente di giocattoli. Forse una bambola per una bambina di sette anni… e qualcos’altro che consigli tu.”

La ragazza prese velocemente una bellissima bambola e un gioco da tavolo.

“Ecco! Tutte le bambine adorano questi modelli, e anche il gioco va molto.”

“Grazie! Spero piaceranno a mia nipote,” sorrise Stefano.

***

Anita lo accolse con freddezza. La bambina lo fissava in silenzio, ma quando vide i regali, si ammorbidì e sorrise.

“Non mi conosci affatto,” iniziò Stefano.

“Ti conosco. Nonna e mamma mi hanno mostrato le tue foto e mi hanno parlato di te,” lo interruppe Anita.

“Ah sì? E cosa ti hanno detto?”

“Che sei buono e gentile. Zio Stefano… quando andiamo a casa?” sussurrò, guardandosi intorno.

La domanda lo lasciò senza parole. Capì che la piccola non stava bene lì.

“Anita… ti fanno del male?” chiese piano.

“Sì,” rispose lei, abbassando la testa e piangendo.

“Non posso portarti via subito, ma prometto che presto tornerai a casa. Non essere triste, va bene?”

“Va bene,” sussurrò.

Stefano andò subito dal direttore dell’orfanotrofio, ma le notizie non furono buone.

“Capisco che lei sia lo zio, ma per il tribunale non bastano i legami di sangue. Ha un lavoro stabile?”

“No, sono appena tornato. Ma ho abbastanza soldi da parte,” cercò di spiegare Stefano.

“Non è sufficiente! Serve un impiego regolare. E lei è sposato? Ha figli?”

“No,” scosse la testa Stefano.

“Male, molto male… Se vuole davvero l’affidamento, deve trovare un lavoro e sposarsi.”

“Ma non si fa dall’oggi al domani! Anita vuole tornare a casa!”

“Mi dispiace, non posso aiutarla,” si strinse nelle spalle l’uomo.

Stefano perse quasi tutta la giornata in città e riuscì a malapena a prendere l’ultimo autobus. Si sedette, immerso nei suoi pensieri.

“Oh, salve!” sentì una voce gentile accanto a sé.

“Lei? Come mai qui?” si stupì Stefano.

Era la commessa del negozio di giocattoli, quella che gli aveva aiutato con i regali.

“Torno a casa, a Monteloro. Lavoro in città, ma vivo con mia nonna,” spiegò la ragazza.

“Ma che coincidenza! Anch’io sono di Monteloro!” rise Stefano.

“Mi chiamo Anna,” sorrise la bella ragazza.

“Stefano. I regali sono piaciuti a tua nipote?”

“Sì,” sospirò lui.

Senza speranza, Stefano le raccontò tutto.

“Che situazione… Mai approvato queste regole. Contano più i documenti che i sentimenti delle persone,” commentò Anna, indignata.

“Anna… tu sei la nipote di nonna Teresa, vero?”

“Sì,” sorrise. “Ma non ricordo te.”

“Eri troppo piccola quando sono partito. Possiamo darci del tu, no? Siamo paesani.”

“Stefano, forse posso aiutarti con il lavoro. Cercano un magazziniere nel negozio. Non è pesante, le consegne arrivano due volte a settimana. L’importante è che avresti un contratto.”

“Perfetto! MancStefano le prese la mano, i loro sguardi si incrociarono e in quel momento capirono che, anche se era iniziato tutto per finta, il loro amore era diventato bellissimo e vero, proprio come la famiglia che avevano costruito insieme.

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