Pareva che nella nostra famiglia tutto fosse sempre perfetto, tranquillo, sicuro. Mio figlio, Matteo, è il mio unico figlio. Suo padre naturale se ne andò quando non aveva nemmeno tre anni. Il mio secondo marito, Alessandro, è diventato per lui un vero padre: lo ha cresciuto, educato, è stato al suo fianco in tutto. Io e Ale non abbiamo avuto altri figli, quindi tutto il nostro amore, le nostre cure e le nostre speranze erano rivolte a Matteo. È cresciuto gentile, intelligente, educato. Il tipo di ragazzo di cui nessuna madre si vergognerebbe. Ma tutto è crollato quando nella sua vita è apparsa lei.
Lucia. Me la ricordo fin da quel giorno al supermercato, ancora prima che lui la portasse a casa per la prima volta. Era alla cassa, litigava con il cassiere per delle sciocchezze. Pensai subito: con ragazze del genere iniziano i guai. Arrogante, brusca, fredda. Non avrei mai immaginato che un giorno sarebbe entrata nella mia casa.
Quando Matteo la presentò come la sua ragazza, rimasi di sasso. Capii subito: lei avrebbe messo una lama tra noi. E non mi sbagliavo. Dopo quella prima visita, mio figlio veniva sempre meno a casa. Si giustificava con il lavoro, gli impegni, la stanchezza. Alle feste di famiglia arrivava senza di lei. Quando provavo a parlarci, si chiudeva, evitava lo sguardo, cambiava argomento. Sentivo che lo stavo perdendo. E non potevo fare nulla.
Poi accadde quello che mi tolse definitivamente il terreno sotto i piedi.
Era estate, festeggiavamo il compleanno di mia nipote più piccola. Sera, caldo, giardino, chiacchiere. Mia sorella, ridendo, chiese: “Allora, quando arrivano i nipotini? Matteo è sposato da un po’, è ora!” Mi gelai. Non avevo sentito male: aveva detto sposato. Scoprii così che sei mesi prima, Matteo e Lucia si erano sposati. All’estero. Senza anelli, senza festa, senza foto. E senza di noi. Semplicemente in silenzio, di nascosto, come se noi, i suoi genitori, non esistessimo più nella sua vita.
Mi si strinse il petto. Non riuscivo nemmeno a rispondere. Mi alzai e andai in casa. Più tardi, lui mi chiamò. Disse che non voleva rattristarci. Che tanto io non avevo mai voluto bene a Lucia, perché rovinare la festa a tutti? Parlava con calma, come se non si trattasse di un matrimonio, ma dell’acquisto di un nuovo aspirapolvere. Ascoltavo la sua voce e non riconoscevo più mio figlio.
Da un lato, capisco. Non voleva conflitti. Voleva facilitare le cose. Non rovinare i rapporti. Ma la famiglia non è questione di comodità. È questione di sentimenti. Di condividere ciò che conta. Di stare insieme. Lui invece ha fatto tutto alle nostre spalle. Eppure, un tempo, gli tenevo la mano quando aveva paura del buio. Un tempo, mi disse che si sarebbe sposato solo con una ragazza che avrei accettato nel mio cuore. Com’è veloce il cambiamento…
Ora non so nemmeno come comportarmi. Non serbo rancore verso Matteo. È mio figlio. Gli voglio bene. Gliene vorrò sempre. Ma colei che ha scelto, non potrò mai perdonarla. Non per il matrimonio. Ma perché me l’ha portato via. Piano, silenziosamente, come un gatto. E gli ha fatto credere che la famiglia sia qualcosa che si può cancellare con un biglietto aereo.
Lui crede di aver evitato un conflitto. Invece, ha solo peggiorato le cose. Avrebbe potuto provare ad avvicinarci, darci una possibilità. Ora tra me e quella donna c’è un muro. Non risentimento, no. Freddezza. Indifferenza. E questo è terribile.
Passerà il tempo. Forse, per lui, accetterò. Per il bene dei futuri nipoti. Ma il mio cuore non sarà più caldo come prima. Perché un giorno ho capito una cosa: non faccio più parte della vita di mio figlio. E questo dolore nessun saluto potrà mai cancellarlo.