Me ne vado. Lascerò le chiavi del tuo appartamento sotto lo zerbino” – scrisse mio marito

«Me ne vado. Lascio le chiavi del tuo appartamento sotto il tappeto» scrisse il marito.

«Eccoti di nuovo, Marina! Quante volte dobbiamo ripeterlo? Ogni centesimo è contato, e tu vuoi un cappotto nuovo? Quello vecchio non va più bene?»

«Marco, non è che non vada bene, è semplicemente vecchio! Ha sette anni. Sette! Sembro un fantasma quando lo indosso. Tutte al lavoro hanno già rifatto il guardaroba tre volte, io sembro uscita dal secolo scorso. Non merito un misero cappotto?»

«Certo che lo meriti!» Marco alzò le mani, il volto contratto dallirritazione. «Ma non adesso. Lo sai, il progetto è in crisi, tutti i soldi sono bloccati. Finita la trattativa, ti comprerò anche una pelliccia. Per ora, pazienta.»

«Ho pazientato ventanni, Marco. Tutta la nostra vita ho aspettato. Prima che tu finissi luniversità. Poi per la prima macchina. Poi per questo appartamento, o meglio, per i suoi lavori, visto che lho ereditato dai miei genitori. Cè sempre qualcosa di più importante di me.»

Marina si stupì delle proprie parole. Di solito taceva, ingoiava il rancore e andava in cucina a prepararsi un tè per calmarsi. Ma oggi qualcosa si era rotto. Si era accumulato. Guardò il marito con sfinimentoquel volto un tempo amato, ormai estraneo, segnato dallinsoddisfazione e dagli occhi spenti.

«Eccola lì» borbottò lui, prendendo la giacca dallattaccapanni. «Lo spettacolo delle lamentele. Basta, non ce la faccio più. Ho un incontro.»

«Che incontro alle nove di sera?» chiese piano Marina, pur sapendo già la risposta. Quegli «incontri» erano diventati troppo frequenti negli ultimi sei mesi.

«Di lavoro, Marina, di lavoro! Non tutti respirano polvere in biblioteca fino alle sei. Alcuni lavorano per permettere a donne come te di sognare un cappotto.»

Sbatté la porta così forte che i bicchieri nel vecchio mobile tremularono. Marina trasalì, rimanendo immobile nellingresso. Il silenzio dopo la sua partenza era assordante, denso come la panna. Andò in cucina, mise il bollitore per inerzia. Le mani le tremavano. Non di rabbia, ma per un vuoto che le divorava dentro. Sapeva che non era a un incontro. Sapeva che cera unaltra donnagiovane, brillante, una collega. Non voleva crederci, scacciava il pensiero, ma tornava, insistente come una mosca.

Il telefono nel tascone dellaccappatoio vibrò. Forse si scusava, come al solito. Un messaggio tipo «Scusa, ho esagerato. Parliamo quando torno.» Marina lo tirò fuori. Un messaggio di Marco. Ma le parole erano diverse.

«Me ne vado. Lascio le chiavi del tuo appartamento sotto il tappeto.»

Solo otto parole. Secche, taglienti come colpi dascia. Marina le rilesse una, due, tre volte. Le lettere ballavano davanti ai suoi occhi, rifiutandosi di formare un senso. Non poteva essere. Uno scherzo crudele. Dopo ventanni di matrimonio. Andarsene così, con un messaggio.

Corse in camera. Aprì larmadio. La sua metà era quasi vuota. Spariti i migliori completi, le camicie, i maglioni. Sul ripiano, una cravatta dimenticata. Sul comodino, niente orologio né caricabatterie. Aveva preparato tutto in anticipo. La lite per il cappotto era solo un pretesto. Un modo comodo per andarsene.

Le gambe cedettero. Marina si sedette sul letto. Senza fiato. Guardò lo spazio vuoto nellarmadio, incapace di crederci. Ventanni. Tutta la sua vita adulta. Si erano conosciuti alluniversità, sposati subito dopo la laurea. Avevano vissuto in quellappartamento lasciatole dai genitori. Insieme avevano scelto la carta da parati, i mobili, sognato figli che non arrivarono mai. Lei lavorava nella biblioteca di quartiere, lui costruiva la sua piccola impresa. La vita non era stata facile, ma era stata la loro vita. E ora lui laveva cancellata con un messaggio.

Chiamò subito Silvia, la sua unica amica.

«Silvia se nè andato» sussurrò Marina, trattenendo il singhiozzo.

«Chi? Dove?» Silvia, assonnata, non capiva. «Marina, che succede?»

«Marco. Se nè andato. Per sempre. Ha scritto che lascia le chiavi sotto il tappeto.»

Silenzio per qualche secondo.

«Che stronzo!» esplose Silvia con la sua voce roca. «Te lavevo detto che quei convegni notturni finivano male! Tranquilla, tornerà. Si stancherà e tornerà, dove vuoi che vada?»

«No, Silvia. Ha portato via le sue cose.»

«Tutte?»

«Quasi tutte. Ha scritto che lascia le chiavi sotto il tappeto.»

«Ah, lui!» Silvia cercò le parole. «Ascolta, resta a casa, non muoverti. Arrivo subito. Compra del vino. O meglio, della grappa. Cureremo il tuo cuore spezzato.»

Silvia arrivò in quaranta minuti con una busta della spesa e una bottiglia di cognac. Andò dritta in cucina, tirò fuori formaggio, salame, limone.

«Allora, racconta. Per cosa avete litigato?»

Marina, un po più calma, parlò del cappotto, della sua irritazione costante, del gelo degli ultimi mesi.

«Capisco» annuì Silvia, versando il cognac nei bicchierini. «Ha trovato una ragazzina e si crede un macho. Tu col tuo cappotto non ci stai nella sua nuova vita luccicante. La solita storia. Uomini della sua età impazziscono. Crisi di mezza età, accidenti a loro.»

Bevvero. Il cognac bruciò in gola, diffondendo un calore lieve.

«Che faccio ora, Silvia? Come vivo?»

«Vivi, Marina, vivi! Prima cosa, cambia la serratura. Subito. Domani chiama un fabbro. Non si sa cosa gli passa per la testa. Poi, chiedi il divorzio e la divisione dei beni. Aveva una ditta, no?»

«Sì piccola, infissi. Ma tutto è a nome suo. Anche la macchina.»

«Perfetto. La metà è tua per legge. Non lasciargli tutto. Vediamo se alla sua nuova fiamma piace riceverlo con una valigia sola.»

Rimasero alzate fino a notte. Silvia parlava senza sosta, architettava piani di vendetta, insultava Marco. Marina taceva, fissando il vuoto. Non voleva vendetta né divisioni. Voleva tornare indietro, a quella mattina in cui lui era ancora lì, quando bevevano il caffè insieme e tutto era normale.

La mattina dopo, Silvia andò al lavoro. Marina restò sola nellappartamento vuoto. Il silenzio pesava. Ogni scricchiolio del pavimento sembrava un suo passo. Sulla sedia in cucina cera ancora la sua vestaglia. La prese, vi affondò il viso. Il tessuto odorava ancora di lui. E Marina scoppiò in lacrimeamare, disperate, come una bambina.

I primi giorni passarono in una nebbia. Prese un congedo, mentendo su uninfluenza. Passava le giornate sul divano, fissando il soffitto. Non mangiava, quasi non dormiva. Il telefono taceva. Marco non chiamava né scriveva. Come se non fosse mai esistito.

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