Meglio vivere in un piccolo appartamento in affitto che condividere la casa con la suocera.

Meglio vivere in un monolocale in affitto che respirare sotto lo stesso tetto con la suocera.

— Dario, ma quanto ancora? — la voce di Ginevra si spezzò in un sussurro carico di stanchezza e disperazione. — Siamo sposati da due anni e ancora abitiamo a casa di tua madre. Quando finirà?

— E cosa non va adesso? — il marito corrugò la fronte. — Abbiamo un tetto sopra la testa, tutto a portata di mano. Non hai un appartamento tuo e non possiamo permetterci un affitto. Mamma cucina, ci aiuta, si prende cura di noi. Qual è il problema?

— Preferirei stare stretti in un bilocale in affitto piuttosto che vivere con tua madre… — mormorò Ginevra.

Dario alzò le spalle.

— Se vuoi, torna dalla tua mamma di campagna, lascia il lavoro. Io resto. Mi sono abituato alla città.

Quelle parole ferirono Ginevra profondamente. Sì, veniva da un paesino vicino a Siena, dove era rimasta sua madre. Ma non era colpa sua se il destino l’aveva portata in città, dove aveva conosciuto suo marito, trovato un lavoro e iniziato una nuova vita. E ora sembrava che le stessero dicendo: qui non sei nessuno.

Vivere sotto lo stesso tetto con la suocera era diventato insopportabile. Per Dario, ovviamente, era tutto perfetto — per sua madre era il figlio ideale, lei non lo rimproverava mai, non lo criticava. Ma Ginevra era trattata come un’estranea, come quella che aveva “portato via” il figlio alla madre.

Bianca Rossi era rimasta vedova giovane. Aveva cresciuto suo figlio da sola. E ora la sua vita era tutta per Dario. Per questo fin dall’inizio aveva visto Ginevra come una rivale. Esternamente, sempre educata e gentile. Ma appena Dario usciva dalla stanza, iniziava il controllo gelido.

Prima aveva criticato il modo in cui Ginevra lavava i piatti e sistemava le tazze nella credenza. Poi era diventato un problema il caffè — troppo dolce, troppo amaro, o “senza sapore”. Una volta l’aveva persino accusata di non prendersi cura della salute di suo figlio, perché metteva lo zucchero.

La cucina era un capitolo a parte. Ogni piatto preparato da Ginevra veniva ignorato o buttato via. Lei si sentiva sempre più fuori posto in quella casa. Usciva presto per il lavoro e la sera cercava di tornare il più tardi possibile, solo per evitare di rientrare in un appartamento dove ogni dettaglio diventava motivo di critica.

Anche se sul comodino c’era un fazzoletto, la suocera commentava con sarcasmo: “Si vede che sei abituata a vivere nella sporcizia”. Nessuna parola gentile, nessun rispetto. Solo rimproveri, ironia, freddezza.

Un giorno Ginevra non ce l’ha fatta più. Ha preso una borsa ed è tornata dalla madre, in quel paesino da cui era partita inseguendo un sogno. Seduta alla finestra, piangeva. Non per il dolore, ma per la stanchezza. Per non aver avuto la forza di combattere. Per non aver avuto il marito al suo fianco.

Il tempo ha attenuato il dolore. Ed è arrivata la consapevolezza: non avrebbe dovuto tacere. Avrebbe dovuto parlare chiaro con Dario, chiedergli sostegno, affrontare la situazione insieme. Perché quando un marito tace, anche quello è una risposta.

Ora Ginevra sa che vivere con un’altra donna, anche se è la madre di suo marito, è sempre un rischio. Soprattutto se sei sola in quel “triangolo”. Ma la cosa importante è non arrendersi. Una famiglia si può salvare, se si lotta insieme. Non da soli, per due.

Voi che ne pensate? Chi aveva ragione, Ginevra o Dario? È possibile convivere con la suocera, o è meglio andarsene ai primi segnali di pressione?

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Meglio vivere in un piccolo appartamento in affitto che condividere la casa con la suocera.