Mentre visitava la figlia al cimitero, una madre vide una bambina sconosciuta sulla panchina che sussurrava al ritratto sulla lapide. Il suo cuore si fermò.

Visitando la figlia al cimitero, la madre vide una bambina sconosciuta seduta su una panchina che sussurrava qualcosa al ritratto sulla lapide. Il suo cuore si fermò.

Attraverso le pesanti tende filtravano gli ultimi raggi serali della luce, stendendosi sul costoso tappeto persiano con strisce stanche e sbiadite. Laria del salotto, solitamente pregna del profumo di fiori rari e di eleganti essenze, quel giorno era pesante, carica di elettricità come se annunciasse una tempesta.

“Ancora con Caterina? Valerio, davvero credi che io debba occuparmene?” La voce di Cristina, normalmente morbida e seducente, tremava di rabbia repressa. Era in piedi al centro della stanza, impeccabile nel suo abito di seta, scolpita come una statua di porcellana, e lanciava al marito uno sguardo di sfida. “Ha una tata! E poi cè tua ex moglie, sua nonna! Perché devo sempre lasciare tutto?”

Valerio, un uomo con i capelli brizzolati alle tempie e un portamento sicuro, non alzò lo sguardo dai documenti. La sua calma era falsa, come quella che precede un temporale.

“Ne abbiamo già parlato, Cristina. Due volte al mese. Due sere di sabato. Non è una richiesta, ma una condizione minima che accetti diventando mia moglie. Zita ha bisogno di riposo. E la mia ‘ex moglie’, se proprio vuoi chiamarla così, abita in unaltra città e vede la nipotina raramente. Caterina è sangue del mio sangue. E, tra laltro, figlia di Olga. La tua ex migliore amica.”

Pronunciò quelle ultime parole con un sottile accento, ma Cristina le sentì come un pugno. Quel legame la faceva infuriare più di tutto.

“Amica” sogghignò amaramente. “Quella stessa Olga che ha abbandonato tutto e ha avuto un figlio da chissà chi, lasciando a te il compito di sistemare i suoi pasticci?”

Le parole le sfuggirono prima che potesse fermarsi. Cristina ammutolì allistante, mordendosi il labbro. Un brivido le percorse la schiena. Vide Valerio posare lentamente i documenti e alzare lo sguardo verso di lei pesante, privo di emozioni. Le tornò alla mente quel giorno sei mesi prima: Caterina aveva rovesciato il succo sul divano, lei laveva afferrata per un braccio, urlandole in faccia e poi era arrivato lui. Senza gridare, senza gesti. Si era avvicinato, le aveva allontanato la mano con dolcezza e detto con gelida chiarezza:

“Se la tocchi ancora se le succede qualcosa per colpa tua ti spezzerò tutte le dita. Una per una. Hai capito?”

Aveva capito. Allora, come ora, sapeva che quelluomo, che le aveva regalato il lusso e strappato alla povertà, non la amava. La sopportava. E lei lo temeva. Fino al tremore. E non cera via di fuga. Lidea di tornare in quel minuscolo appartamento, con i genitori ubriachi, era peggiore di qualsiasi punizione. Si era chiusa da sola in quella prigione dorata, e ora la sua carceriera era una bambina.

Cristina cambiò tono allistante. Gli occhi le si riempirono di lacrime, la voce divenne mielosa.

“Valeruccio, perdonami Non volevo. È solo che sono così stanca Ho un appuntamento importante con il dottore, lho aspettato due settimane, non posso saltarlo.”

Ma Valerio non la stava più ascoltando. Scacciò le sue scuse come un fastidioso moscerino. La sua attenzione era tutta per la porta, da cui provenivano le risate di Caterina. Nella stanza dei giochi, la bambina era seduta per terra con la tata Zita, costruendo una torre di mattoncini. Il volto di Valerio si illuminò la durezza svanì, i suoi occhi si riempirono di una tenerezza quasi sacra. Si avvicinò, sollevò Caterina tra le braccia, facendola roteare nellaria. Lei rise a crepapelle, abbracciandolo al collo.

Cristina osservò la scena dal salotto. Il cuore le si strinse di gelida, ribollente odio. Era unestranea in quel mondo. Superflua. Un elemento decorativo in un appartamento di lusso. E finché Caterina fosse esistita, sarebbe sempre stato così. Nella sua mente, temprata da anni di lotta per la sopravvivenza, maturò una decisione fredda. “Non aver paura,” pensò rivolgendosi alla bambina. “Oggi ci salutiamo, piccola intrusa.”

Fin da giovane, sapeva esattamente cosa voleva. La bellezza era la sua unica arma e il suo unico capitale. Mentre la sua amica Olga sognava lamore e scriveva poesie, Cristina studiava le liste degli uomini ricchi. La scelta era caduta su Valerio il padre di Olga, venticinque anni più vecchio, ma possessore di tutto ciò che lei desiderava: potere, soldi, influenza.

Tradimento? Una parola che per lei non aveva significato. Aveva sedotto senza esitazione il padre della sua migliore amica. Per Olga era stato il crollo. Se nera andata, scomparsa. Un anno dopo, Valerio aveva scoperto che aveva avuto una figlia. Quattro anni più tardi, che non cera più. Un incidente.

Affranto dal dolore e dal senso di colpa, Valerio aveva riversato tutto il suo amore sulla nipote, che aveva trovato e portato a vivere con sé. Caterina era diventata il centro della sua vita. E Cristina, la giovane e bella moglie, era stata messa da parte. La bambina era un costante promemoria del suo tradimento e lostacolo principale al controllo totale di suo marito e della sua fortuna. E quellostacolo andava rimosso.

Il piano era semplice e crudele. Prima, la preparazione. Con una scusa plausibile, Cristina aveva fatto licenziare lattenta Zita, sostituendola con Nina, una studentessa distratta e sempre al telefono. Era tutto calcolato.

Sabato, mentre Valerio era uscito per un incontro, Cristina osservò dalla finestra Nina che portava Caterina al parco giochi. Aspettò. E quando il telefono della tata squillò, e lei si allontanò chiacchierando, lasciando la bambina sola, Cristina uscì, si avvicinò e sorrise:

“Caterina, il nonno vuole che ti porti in un posto magico. Andiamo?”

La bambina, che conosceva e si fidava della “zia Cristina”, annuì felice. Un minuto dopo erano già in macchina. Nello specchietto, Cristina vide Nina correre freneticamente per il parco. Il suo sorriso divenne soddisfatto.

Il viaggio fu lungo. Caterina guardò curiosa dal finestrino, poi iniziò a piagnucolare, infine a piangere:

“Voglio il nonno! Voglio tornare a casa!”

Cristina guidava con calma, alzando il volume della musica per coprire i suoi pianti. Guidò per ore, allontanandosi sempre più dalla città, su strade dissestate, finché il centro fu solo un ricordo. Alla fine si fermò davanti alla recinzione sgangherata di un vecchio cimitero abbandonato. Gli alberi secolari proiettavano ombre lunghe e minacciose sulle tombe ricoperte di erbacce.

Trascinò fuori la bambina in lacrime. Lodore dellaria era umido, di foglie marce.

“Siamo arrivate,” disse Cristina. “Questa è la tua nuova casa. Il nonno non ti troverà mai. Addio.”

Caterina, terrorizzata, si avventò verso la macchina, ma Cristina la respinse con violenza. La bambina cadde,

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