Mi accusa di non aiutare il fratello malato: sono scappata e non mi pento.

Mamma mi accusa di non aiutarla con mio fratello malato — sono scappata di casa e non me ne pento

In un paesino vicino a Bologna, dove i vicoli di ciottoli custodiscono echi del passato, la mia vita a 27 anni è appesantita dal senso di colpa che mia madre cerca di impormi. Mi chiamo Giulia, lavoro come grafica e vivo da sola a Milano. Mamma mi dà della figlia ingrata perché non la assisto con mio fratello malato, Matteo, ma non capisce perché me ne sono andata subito dopo il liceo. Sono scappata per salvarmi, e ora i suoi rimproveri mi fanno sentire strappata tra dovere e libertà.

**La famiglia che era una prigione**

Sono cresciuta in una casa dove tutto girava attorno a Matteo. Mio fratello minore è nato con paralisi cerebrale, e fin da piccola la sua salute è stata al centro di tutto. Mamma gli consacrò la vita: dottori, terapie, notti insonni. Papà se ne andò quando avevo dieci anni, schiacciato dal peso, e rimasi io con loro. Amavo Matteo, ma la mia esistenza era al servizio dei suoi bisogni. «Giulia, dà una mano con tuo fratello», «Giulia, non fare rumore, deve riposare» — queste frasi le sentivo ogni santo giorno.

A scuola ero bravissima, sognavo di disegnare, ma a casa non c’era spazio per i miei sogni. Cucinavo, pulivo, badavo a Matteo mentre mamma lavorava. Diceva: «Sei la maggiore, è tuo dovere». Io capivo, ma dentro urlavo: «E quando tocca a me?» A 18 anni, finito il liceo, crollai. Misi due vestiti in una valigia, lasciai un biglietto — «Ti voglio bene, ma devo andare» — e partii per Milano. Fu un salto nel buio, ma sapevo che restare significava annullarmi.

**Vita nuova, accuse vecchie**

A Milano ricominciai da zero. Stipendio da cameriera, una stanzetta, l’università serale. Ora ho un lavoro stabile, un bilocale e amici. Sono felice, ma mamma non lo accetta. Chiama una volta al mese, e ogni volta è un processo. «Giulia, ci hai abbandonati! Matteo sta peggio e tu pensi solo a te!» — mi gridò ieri. Dice che è stanca, che è troppo per lei, che sono egoista. Ma non mi chiede mai come sto io, cosa ho passato.

Matteo ha 23 anni ora. Le sue condizioni sono peggiorate, quasi non cammina, e mamma deve pagare una badante, che le divora i risparmi. Vuole che torni o, almeno, che mandi soldi. «Guadagni, no? Noi qui tiriamo avanti», dice. Ho fatto qualche bonifico, ma ho capito: non finirà mai. Se inizio, chiederà sempre di più — soldi, tempo, la mia vita. Voglio bene a Matteo, ma non posso ridiventare la sua ombra.

**Il senso di colpa che strozza**

Le parole di mamma feriscono. «Hai tradito tuo fratello, non sei una figlia», dice, e io mi sento in colpa anche se so di non aver sbagliato. Le ho proposto di cercare un centro di riabilitazione, ma lei vuole che torni e mi occupi di tutto. «La famiglia è dovere», ripete. Ma dov’era il *mio* diritto a vivere, quando avevo 15 anni? Le amiche mi dicono: «Giulia, non devi sacrificarti». Ma ogni sua chiamata è un macigno, e dubito: forse sono davvero un’egoista?

Vidi Matteo un anno fa. Mi sorrise, e piangi mentre lo abbracciavo. Lui non c’entra, ma non posso tornare in quella casa dove ero solo l’ombra della sua malattia. Mamma non capisce che sono scappata non da lui, ma da una vita in cui non esistevo. Ora minaccia di tagliare i ponti se non «faccio la mia parte». Ma cosa significa? Darle lo stipendio? Traslocare a casa sua? Non posso.

**Cosa fare?**

Non so trovare un equilibrio. Spiegarle perché me ne sono andata? Non ascolta, per lei sono una traditrice. Mandare soldi ma tenere le distanze? Non basterà, lei vuole tutto. Tagliare i contatti? Mi spezzerebbe il cuore, perché le voglio bene. O vivere la mia vita ignorando i rimproveri? Ma la colpa mi perseguita. A 27 anni voglio essere libera, senza farli soffrire.

Le colleghe mi dicono: «Giulia, hai fatto una scelta, tieniti stretta a quella». Ma come resistere quando mamma piange al telefono? Come difendermi senza perdere loro? Come aiutare Matteo senza annullarmi? Non voglio essere egoista, ma nemmeno sparire.

**Il mio urlo silenzioso**

Questa storia è la mia rivendicazione di una vita mia. Mamma forse non vuole farmi del male, ma le sue accuse mi soffocano. Matteo forse ha bisogno di me, ma non posso salvarlo a spese di me stessa. Voglio che il mio bilocale sia il mio rifugio, che il lavoro mi dia gioia, che respiri senza sensi di colpa. A 27 anni, merito di essere non solo sorella e figlia, ma Giulia.

Io — Giulia — troverò il modo di vivere senza colpe, anche se dovessi mettere dei paletti a mamma. Sarà doloroso, ma non tornerò in quella gabbia da cui sono volata via.

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