**Diario Personale**
Era un sereno pomeriggio di lunedì, poco dopo le sette, a *La Pergola*, uno dei ristoranti più lussuosi di via Montenapoleone a Milano. Laria era impregnata di profumi di risotto allo zafferano, pollo alla cacciatora, insalata caprese e alte bottiglie di Barolo. In un angolo, seduta da sola, cera Beatrice, avvolta in un abito elegante che luccicava sotto le luci soffuse. Portava una collana doro, un orologio tempestato di diamanti e scarpe col tacco che raccontavano la sua ascesa da zero a miliardaria. Ma nessuno di quegli oggetti preziosi poteva nascondere il vuoto che sentiva dentro.
Beatrice era lamministratrice delegata di una catena di boutique e atelier sparsi tra Milano e oltre. Aveva costruito il suo imperio partendo dal nulla, spinta dal dolore di un amore tradito. Anni prima, gli uomini lavevano abbandonata quando non aveva un soldo, deridendo i suoi sogni. Lei aveva trasformato quel dolore in potere, giurando di non lasciarsi mai più ferire. Ora, con fama e ricchezza, gli uomini erano tornati ma non per amore. Volevano solo il suo denaro, il suo status, e ogni volta lei li metteva alla prova. Fingeva di essere povera e li vedeva scappare, rivelando la loro vera natura. Così, restava sola.
Quella sera, fissava distrattamente il suo piatto di pasta al pomodoro e parmigiana di melanzane. Il vino era ancora intonso. Stava per prendere la prima forchettata quando una voce la interruppe. Era flebile, tremula, eppure piena di dignità: «Mi dà gli avanzi, signora?».
Beatrice si irrigidì, la forchetta sospesa a mezzaria, e si voltò verso un uomo inginocchiato accanto al tavolo. Non doveva avere più di trentacinque anni, ma la vita lo aveva segnato. Sul petto, legati con uno straccio, portava due gemellini, i loro visini pallidi e scavati dalla fame. Indossava jeans strappati e una maglietta logora, sporca di polvere e sudore. Tremava, non per paura, ma per la fatica. Eppure, nei suoi occhi non cera vergogna, solo lamore disperato di un padre.
I bambini fissavano il piatto di cibo. Intorno, la musica di sottofondo e il tintinnio delle posate continuavano, ma la sua voce aveva spezzato il brusio, attirando sguardi. Una guardia si avvicinò pronta a cacciarlo *La Pergola* era per ricchi, non per mendicanti. Ma Beatrice alzò una mano, un ordine silenzioso. La guardia si fermò, e lei tornò a fissare quelluomo.
Nel suo volto vide qualcosa di autentico, crudo. Non chiedeva per sé, ma per i suoi figli. La tensione nei suoi occhi, il modo in cui li proteggeva, lamore che brillava nonostante la stanchezza tutto questo scalfì le mura che Beatrice aveva alzato attorno al cuore. Per anni si era blindata contro il dolore, ma ora quelle barriere vacillavano. Si riconobbe in lui: qualcuno che aveva sofferto, che aveva perso tutto, ma che ancora amava con forza.
Senza dire nulla, spinse il suo piatto verso di lui. «Prendi», sussurrò.
Luomo lo afferrò con mani tremanti. Sistemò un bambino sulle ginocchia e laltro accanto a sé, tirando fuori un vecchio cucchiaio di plastica. Con delicatezza, diede loro da mangiare, un boccone alla volta. Le loro bocchine si aprivano avide, e i loro visini si illuminavano di gioia una felicità che Beatrice non vedeva da anni. Mise gli avanzi in una busta di nylon consunta, come fosse un tesoro, e si rilegò i bambini al petto prima di alzarsi.
La guardò negli occhi e disse: «Grazie». Poi uscì dalle porte a vetri, nella notte, senza chiedere altro. Beatrice rimase immobile, il cuore in gola. Sentì qualcosa muoversi dentro di sé una nostalgia, una connessione, uno scopo che non provava da troppo tempo.
Spinta da un impulso che non capiva, si alzò, lasciò il ristorante e lo seguì. Lo vide camminare per strada, il suo corpo a protezione dei figli, fino a raggiungere unofficina abbandonata. Lì, salì su una vecchia Fiat scassata, sistemando i bambini su una coperta sottile sul sedile posteriore. Cominciò a canticchiare: «*Ninna nanna, ninna oh*», e i gemellini si calmaro, le testoline appoggiate al suo petto.
Beatrice rimase accanto allauto, con le lacrime agli occhi. Vide in quel momento un amore più prezioso di qualsiasi ricchezza la devozione di un padre, pura e incrollabile. Bussò leggermente al finestrino, e luomo si voltò, sorpreso.
«Scusa disse, alzando le mani. Volevo solo sapere se state bene».
«Mi hai seguito?» chiese lui, calmo.
«Sì ammise Beatrice a bassa voce. Ho visto come hai dato da mangiare ai tuoi figli. Non avevo mai visto niente del genere. Dovevo capire».
Si presentò come Matteo, e i bambini, Luca e Giovanni, di otto mesi. «Avevo una piccola attività spiegò. Ma un affare sbagliato mi ha rovinato. La loro madre se nè andata quando le cose sono peggiorate, e i miei genitori mi hanno voltato le spalle perché sono rimasto con lei. Ora siamo solo noi, a arrangiarci come possiamo». Parlava senza rancore, solo con la verità.
«Posso prenderne uno?» chiese Beatrice, la voce tremante. Matteo esitò, ma alla fine gliene passò uno. Lei lo strinse, sentendo il suo calore e la sua fragilità. Le lacrime le salirono agli occhi mentre si chiedeva quale colpa avessero mai commesso quei bambini per meritarsi tanto dolore.
«Posso aiutarvi disse allimprovviso. Posso trovarvi un hotel, del cibo, qualsiasi cosa vi serva».
Matteo scosse dolcemente la testa. «No rispose. Non chiedo soldi. Solo un posto sicuro per una notte, del cibo decente, e un pediatra che li visiti».
Beatrice rimase senza parole. Quelluomo non chiedeva sopravvivenza, ma dignità. Sentì un dolore profondo la nostalgia per quellamore che Matteo dimostrava, quello che lei aveva sempre desiderato.
«Grazie sussurrò, la voce rotta. Per avermi ricordato che ho ancora un cuore».
Matteo riprese la ninna nanna, e Beatrice li osservò, cambiata per sempre. Quella notte, non riuscì a dormire. Limmagine di Matteo che nutriva i bambini la tormentava, la sua forza e resistenza le risuonavano nella mente.
La mattina dopo, Beatrice preparò una borsa termica con risotto e pollo, e unaltra con minestra e spezzatino. Comprò pannolini, latte, biberon e prenotò una visita dal pediatra, pagando in anticipo. Lasciò tutto nellauto di Matteo, con un biglietto: «Chiamami se hai bisogno», e il suo numero.
Quando Matteo tornò quella sera, trovò il cibo, i vestiti puliti e il foglio della visita. Le lacrime gli bruciarono gli occhi, ma le trattenne. Nutrí i bambini e corse allospedale. Il pediatra li visitò e sorrise. «Sono sani, solo un po denutriti. Dagli da mangiare bene e tienili al caldo». Matteo annuì, il cuore gonfio di gratitudine.






