Scusa, Diego, che non sono venuto alla tua festa di compleanno, ma ho investito un bambino per strada, — disse Vittorio, mandando giù in un sorso un bicchierino di grappa. — Ero in cantiere per lavoro, sono salito in macchina, appena uscito sulla strada, ed ecco che questo ragazzino si è trovato sul mio cofano.
Puoi immaginare? Per fortuna non andavo veloce. Sono sceso, ho guardato e il ragazzino era vivo, gli ho chiesto come stava e mi ha detto che era tutto a posto. Era un piccoletto con i capelli rossi, avrà avuto sei anni massimo.
— Dove sono i tuoi genitori? — gli ho chiesto.
— La mamma è a casa, — ha risposto lui, — sta preparando la cena.
— Allora andiamo, — gli ho detto, — dalla tua mamma. Dobbiamo risolvere la questione.
Mi ha portato nel suo condominio, ha indicato la porta dell’appartamento e poi si è nascosto dietro di me. Ho suonato, ha aperto una donna. Bellissima, non ne avevo mai viste di così, ma sembrava, come dire, spenta. Gli occhi non le brillavano. Capisci?
— Mi scusi, — ho detto, — c’è stato un problema. Non si spaventi, per carità, ma ho investito suo figlio con l’auto. Sta bene, eccolo qui, — ho detto tirando il piccolo da dietro la mia schiena. — Ma magari vuole chiamare la polizia?
— Non serve la polizia, — rispose piano. — È già la quinta volta che combina queste cose.
— In che senso?
— Marco, vai nella tua stanza, — gli disse con voce ferma. — Accomodatevi in cucina. Volete un tè? O preferite un caffè?
Il tè, tra l’altro, era delizioso. Con delle erbe.
— Scusatemi, — disse Ilaria, è così che si presentò. — Marco ha sentito per caso qualche giorno fa, mentre mi lamentavo con un’amica di quanto fosse difficile senza un marito, e ha deciso che in questo modo avrebbe trovato un papà per noi. Lei è già il quinto uomo minimo cui si getta sotto le ruote. A due di loro ha quasi fatto prendere un infarto. Gli dico che mi basta lui, ma è testardo, proprio come suo nonno. Anche l’auto te l’ha graffiata? Vuoi che ti paghi la riparazione? Non serve? Come vuoi.
Io la guardavo e capivo: mi ero innamorato. Non ci crederai, Diego, ma per la prima volta vedevo davanti a me la mia donna. Stanca, con una vestaglia casalinga, senza trucco. E sentivo che se la perdessi, non mi resterebbe che buttarmi giù dal tetto.
— Capisco quanto assurdo possa sembrare, ma potrei invitarvi al cinema per compensare?
— Non è il caso, — rispose. — Capisce, Marco potrebbe di nuovo farsi delle idee.
— Non le piaccio? — ho chiesto.
— Non è questo… Solo che… In altre circostanze… Ma così… Sembra che dia mio figlio sotto le macchine solo per trovare un marito. Che vergogna.
— Già. E io allora, sarei un mascalzone che approfitta di una donna in difficoltà, — scherzai. — E ora bruceremo entrambi all’inferno. Ma, visto che è andata così, magari almeno bruceremo nello stesso fuoco?
— Non ricordo cos’altro ho detto, ma il giorno dopo sono passato a prenderli per portarli a vedere “I Transformers”. Poi al ristorante. Poi…
Insomma, Diego, eccomi qui. Ci sposiamo a giugno. Abbiamo bisogno di un fotografo. Ce la fai? Guarda com’è fotogenica.
Vittorio tirò fuori il telefono e mostrò una foto di una splendida rossa sorridente accanto a un ragazzino.
Ora so con certezza che Cupido non ha le ali. Ma ha un sacco di lentiggini rosse e gli mancano due denti da latte. E si chiama Marco. Il cognome… Beh, il cognome presto glielo darà Vittorio, non ho dubbi.