Ha detto che non sono tagliato per fare il padre ma io questi bambini li ho cresciuti fin dal primo giorno.
Quando mia sorella Ginevra ha iniziato il travaglio, ero dallaltra parte della regione a una festa di motociclisti. Mi supplicava di non annullare il viaggio, giurava che sarebbe andato tutto bene, che cera ancora tempo.
Peccato che il tempo fosse già scaduto.
Nacquero tre meravigliosi piccoli e lei non ce lha fatta.
Ricordo quei minuscoli fagottini che si agitavano nella terapia intensiva neonatale, mentre io puzzavo ancora di benzina e cuoio. Non avevo un piano, né la più pallida idea di come fare. Ma li ho guardati Viola, Livia e Matteo e ho capito: non me ne sarei mai andato.
Le serate al pub sono diventate poppate notturne. I ragazzi della officina mi hanno coperto i turni, così potevo accompagnare i bambini allasilo. Ho imparato a fare le treccine a Livia, a calmare Viola quando fa i capricci, a convincere Matteo a mangiare qualcosa oltre ai soliti spaghetti al burro. Ho smesso di partecipare ai raduni più lunghi. Ho venduto due moto. Ho costruito dei letti a castello con le mie mani.
Cinque anni. Cinque compleanni. Cinque inverni tra influenze e virus intestinali. Non sono stato perfetto, ma sono sempre rimasto lì. Ogni singolo giorno.
E poi è spuntato lui.
Il padre biologico. Non cera sui certificati di nascita. Non aveva mai fatto visita a Ginevra durante la gravidanza. Secondo lei, aveva detto che i gemelli non si addicevano al suo stile di vita.
Ma ora? Voleva portarli via.
E non è venuto da solo. Si è portato dietro unassistente sociale di nome Beatrice. Lei ha osservato le mie tute macchiate dolio e ha dichiarato che non ero un ambiente adatto per la crescita a lungo termine di questi bambini.
Non credevo alle mie orecchie.
Beatrice ha ispezionato la nostra piccola casa ordinata. Ha visto i disegni dei bambini attaccati al frigo. Le bici nel cortile. Gli stivaletti di gomma allingresso. Sorrideva educatamente. Prendeva appunti. Ho notato che il suo sguardo si è fermato un po troppo sul mio tatuaggio alla nuca.
La cosa più terribile? I bambini non capivano. Viola si è nascosta dietro di me. Matteo ha iniziato a singhiozzare. Livia ha chiesto: Questo signore sarà il nostro nuovo papà?
Ho risposto: Nessuno vi porterà via. A meno che non debba strapparvelo con la legge.
E ora ludienza tra una settimana. Ho un avvocato. Bravo. Costosissimo, ma ne vale la pena. Lofficina è a malapena in piedi, perché faccio tutto da solo, ma venderei anche lultimo cacciavite pur di tenermi i miei bambini.
Non sapevo cosa avrebbe deciso il giudice.
La notte prima delludienza, non riuscivo a dormire. Ero seduto in cucina con un disegno di Viola tra le mani noi quattro davanti alla nostra casetta, con un sole sorridente e qualche nuvola in un angolo. Uno scarabocchio, certo, ma, a dirla tutta, in quel disegno sembravo più felice di quanto lo sia mai stato in vita mia.
La mattina ho indossato la camicia coi bottoni che non mettevo dai funerali di Ginevra. Livia è uscita dalla sua stanza e ha detto: Zio Luca, sembri un notaio.
Speriamo che al giudice piacciano i notai, ho cercato di ridere.
Il tribunale sembrava un altro pianeta. Tutto lucido e color biscotto. Davide sedeva di fronte a me con un completo costoso, fingendo di essere un padre premuroso. Aveva persino portato una foto dei bambini in una cornice comprata al centro commerciale come se quello bastasse.
Beatrice ha letto la sua relazione. Non ha mentito, ma non ha nemmeno cercato di essere gentile. Ha parlato di risorse limitate, preoccupazioni sullo sviluppo emotivo e, ovviamente, mancanza di una struttura familiare tradizionale.
Stringevo i pugni sotto il tavolo.
Poi è toccato a me.
Ho raccontato tutto al giudice. Dalla chiamata su Ginevra fino al giorno in cui Livia mi ha vomitato addosso durante un viaggio e io non ho nemmeno scomposto. Ho parlato dei ritardi nel linguaggio di Viola e di come mi sono messo a lavorare di notte per pagare la logopedista. Ho detto di Matteo, che ha imparato a nuotare solo perché gli avevo promesso una pizza ogni venerdì se non mollava.
Il giudice mi ha fissato e ha chiesto: Davvero crede di poter crescere da solo tre bambini?
Ho deglutito. Avrei potuto mentire. Ma non lho fatto.
No. Non sempre, ho detto. Ma lo faccio. Ogni giorno, da cinque anni. Non lho fatto per obbligo. Lho fatto perché loro sono la mia famiglia.
Davide si è proteso in avanti, come volesse parlare. Ma è rimasto zitto.
E poi è successo limpensabile.
Livia ha alzato la mano.
Il giudice, sorpreso, ha detto: Sì, piccola?
Lei si è alzata in punta di piedi e ha detto: Zio Luca ci abbraccia sempre. E quando abbiamo paura, dorme per terra accanto a noi. Una volta ha venduto la moto per riparare la caldaia. Non so cosè un papà, ma noi già ce labbiamo.
Silenzio. Un silenzio che sembrava infinito.
Non so se sia stato quello a convincere il giudice. Forse aveva già deciso. Ma quando ha detto: Laffidamento rimane al signor Luca Mancini, ho tirato un respiro che trattenevo da anni.
Davide non mi ha degnato di uno sguardo andandosene. Beatrice mi ha fatto un cenno appena accennato.
Quella sera ho preparato bruschette e minestrone il piatto preferito dei bambini. Livia ballava sul tavolo. Matteo brandiva un cucchiaio come fosse una spada. Viola mi si è stretta addosso e ha sussurrato: Lo sapevo che avresti vinto.
E in quel momento, tra la cucina disordinata e tutta la stanchezza, mi sono sentito luomo più fortunato della Terra.
Famiglia non è sangue. Famiglia è chi resta. Sempre. Anche quando è dura.
Se credi che lamore faccia di qualcuno un genitore racconta questa storia. A qualcuno, oggi, potrebbe servire.





