Ricordo ancora il profumo delle rose fresche al matrimonio. Le tovaglie bianchissime, il tintinnio dei bicchieri di cristallo, il brusio delle risate: nulla riusciva a soffocare quanto mi sentissi insignificante quel giorno.
Mi chiamo Chiara Esposito. Io, i soldi, non li ho mai visti. Feci due lavori all’università, saltando spesso i pasti per pagare l’affitto. Mia madre faceva la domestica, mio padre il tuttofare. Dell’amore ne avevamo in abbondanza, ma mancava sempre qualcos’altro: la stabilità.
Poi conobbi Daniele Marchetti.
Era gentile, intelligente, e d’una umiltà inaspettata per chi era nato nella ricchezza più sfacciata. I giornali lo chiamavano “Il Miliardario con lo Zaino”, perché preferiva le scarpe da ginnastica alle mocassini firmate. Ci incontrammo nel posto più improbabile: una libreria in un vicolo tranquillo di Firenze. Lavoravo lì part-time mentre studiavo per la magistrale in pedagogia. Lui entrò cercando un libro sull’architettura rinascimentale, e finimmo a parlare di letteratura classica per due ore.
Non fu una fiaba. Avevamo differenze abissali. Io ignoravo
Ancora oggi, guardando quel vestito appeso nell’armadio, sento il calore della sua mano mentre uscivamo, e il riflesso della luna di Cortina nei suoi occhi mentre diceva “sì” – un riflesso che brilla ancora, ogni mattina, nella tazzina del caffè che mi porge sul terrazzo affacciato sul lago di Como.