Mi invita a casa dei suoi genitori, ma non ho intenzione di trasformarmi nella loro domestica

**19 Ottobre 2023**

Lui ha insistito per trasferirci a casa dei suoi genitori, ma io rifiuto di diventare la serva di famiglia.

Mi chiamo Chiara, ho ventisei anni. Mio marito, Luca, e io siamo sposati da quasi due anni. Viviamo a Milano, in un piccolo appartamento accogliente che ho ereditato da mia nonna. Allinizio, tutto andava bene: Luca era felice di vivere con me, gli piaceva la nostra sistemazione. Poi, laltro giorno, come un fulmine a ciel sereno, ha detto: «È ora di trasferirci nella casa di famiglia, cè spazio, e quando avremo figli, sarà perfetto.»

Ma io non voglio quel “perfetto” sotto lo stesso tetto con la sua famiglia rumorosa. Non voglio rinunciare alla mia casa per un posto dove regnano il patriarcato e lobbedienza cieca. Lì, non sarei sua moglie, ma manodopera gratuita.

Ricordo benissimo la mia prima visita da loro. Una grande casa di campagna in periferia, almeno trecento metri quadri. Ci vivono i suoi genitori, suo fratello minore, Marco, sua moglie, Sofia, e i loro tre figli. Il pacchetto completo. Appena ho messo piede nellingresso, mi è stato assegnato il mio ruolo. Le donne in cucina, gli uomini davanti alla tv. Non avevo nemmeno finito di disfare la valigia che sua madre mi ha piazzato un coltello in mano, ordinando: «Taglia linsalata.» Niente un «per favore», niente un «quando vuoi». Solo un comando.

A cena, ho visto Sofia correre da una parte allaltra senza mai contraddire la suocera. A ogni osservazione, un sorriso colpevole e un cenno di assenso. Mi si è ghiacciato il sangue. Ho capito subito: questa non è vita per me. Non ci penso nemmeno. Non sono una Sofia obbediente, e non mi piegherò.

Quando abbiamo annunciato la partenza, sua madre ha urlato:
«E chi lava i piatti?»
Lho guardata dritta negli occhi e ho risposto:
«Gli ospiti puliscono dopo gli invitati. Noi siamo invitati, non domestici.»

E allora è scoppiato il finimondo. Mi hanno chiamata ingrata, insolente, viziata cittadina. Li ho ascoltati, calma, pensando: qui, non avrò mai un posto.

Quel giorno, Luca mi ha sostenuto. Siamo andati via. Per sei mesi, è stato tutto tranquillo. Lui vedeva la sua famiglia senza di me, e a me andava bene. Ma ora torna a parlare di trasferirsi. Prima accenni, poi sempre più insistenti.

«Lì è la famiglia, è casa nostra», ripete. «Mamma potrà aiutarti con i bambini, potrai riposarti. E il tuo appartamento lo affittiamo, sarebbe un bel guadagno.»

«E il mio lavoro?» ho ribattuto. «Non lascerò tutto per seppellirmi a quaranta chilometri da Milano. Che farò lì?»

«Non avrai bisogno di lavorare», ha scrollato le spalle. «Avrai un figlio, ti occuperai della casa, come tutti. Una donna deve stare a casa.»

Lultima goccia. Sono una donna laureata, con una carriera e ambizioni. Sono editor, amo il mio lavoro, ho costruito tutto da sola. E mi dicono che il mio posto è tra pentole e pannolini? In una casa dove mi urleranno dietro per una padella non lavata e mi insegneranno a fare il brodo o a partorire “come si deve”?

So che Luca è frutto del suo ambiente. Lì, i figli perpetuano la stirpe, e le mogli sono estranee che devono tacere e ringraziare di essere ammesse. Ma io non sono il tipo che ingoia rospi. Ho sopportato quando sua madre mi umiliava. Ho stretto i denti quando Marco ha ghignato: «Sofia, lei, non si lamenta mai!» Ma ora basta.

Gli ho detto chiaro:
«O viviamo separarti, nel rispetto, o torni nel tuo castello di famiglia senza di me.»
Si è offeso. Mi ha accusata di distruggere la famiglia. Ha detto che un figlio non vive “su territorio straniero”. Ma non mi importa. Il mio appartamento non è straniero. E la mia voce conta.

Non voglio divorziare. Ma vivere con il suo clan? Neanche per sogno. Se non rinuncia allidea di installarmi accanto a sua madre, sarò io a fare la valige prima. Perché meglio sola che in seconda fila, dietro alla sua famiglia.

**Lezione del giorno:** La casa è dove sei rispettata, non dove ti dicono di stare.

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