Mi sono preso cura di lui per otto anni. Nessuno mi ha mai ringraziato.

Mi ricordo ancora, come se fosse ieri, i lunghi anni passati a prendermi cura di lui. Nessuno mi ha mai detto grazie.

Sapete bene quanto sia dura assistere un malato. È una prova che pesa anche quando si tratta di un parente stretto, ma io ho curato il padre di mia nuora per otto lunghi anni. In realtà era quasi uno sconosciuto per me, e nessuno ha mai voluto riconoscere il mio sacrificio. Questo ha lasciato una ferita profonda nella mia anima.

Ho settantadue anni, e la vicenda che vi racconto si colloca a quasi quindici anni fa.

Mio marito era già da tempo scomparso. Ho un figlio, Marco, sua moglie Loredana e un nipotino, Alessandro. Il padre di Loredana, Antonio, era un uomo gentile e di buona volontà. Insegnava matematica in una scuola di Milano, finché una grave malattia lo ha colpito.

Lo abbiamo curato a lungo, spendendo una somma ingente di denaro per le cure. Io stessa ho contribuito finanziariamente, finché mi è stato possibile.

Poi la sua condizione è peggiorata: era costretto al letto, legato alle coperte, e non cera più nessuno che si occupasse di lui. Marco era sempre impegnato, spesso in viaggi daffari; Alessandro era ancora studente; Loredana lavorava a tempo pieno. Aveva anche una figlia più grande, ma questa viveva a Napoli e poteva solo telefonare, offrendogli il suo conforto a distanza.

A Loredana non era permesso prendere il congedo per malattia. Le dicevano sempre:

O lavori come al solito, o trovi un altro impiego!

Naturalmente, ha scelto il lavoro, e la cura di suo padre è ricaduta su di me.

Allinizio Loredana mi chiedeva di andare da lui almeno una volta al giorno, per cucinare e dargli da mangiare. Io ho accettato.

Non avrei mai immaginato di doverlo assistere per otto anni interi.

Allinizio rimanevo solo due ore, poi tornavo a casa. Ma col tempo Loredana mi ha affidato sempre più compiti. Così ho iniziato a trascorrere lintera giornata accanto a lui, tornando a casa solo al tramonto, e al mattino mi incamminavo a piedi verso la sua stanza.

Il figlio Marco mi vedeva con compassione; capiva quanto fosse dura la mia situazione. Mi suggerì di smettere di fare volontariato, ma non disse nulla a sua moglie, perché abitava ancora nella stessa casa.

Mi irritava il fatto che la sorella maggiore di Loredana mi chiamasse spesso per darmi istruzioni precise su cosa fare, come fare, come dovevo curare suo padre. Questo portava Loredana a essere scontenta, soprattutto quando non riuscivo a rispondere a tutte le sue richieste.

Arrivò persino a dirmi:

Se non ti va, prendi tuo figlio e vattene! Io me la cavi da sola! Troverò una babysitter!

E così ho dovuto ascoltare quelle parole per otto anni. Alla fine il vecchio è venuto a mancare. Nessuna delle sue figlie si è mai fermata a ringraziarmi per gli anni di dedizione. Launt più anziana ha addirittura affermato che nessuno laveva costretta a curare il padre, ma che lavevo voluto fare io da sola.

Ecco comè: si compie un gesto di cuore per gli altri, ma la gente può essere talmente spietata da non sentirsi nemmeno in dovere di dirti grazie.

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